Supermercato, otto anni di promesse mancate: cosa continua a finire nei nostri carrelli
Sconti, offerte, modalità di vendita, etichette, digitalizzazione, trasparenza delle filiere. Fino a che punto è cambiato il modo di fare la spesa? A partire da questo interrogativo ho ripercorso a ritroso gli ultimi otto anni, da quando cioè esce “Spesa Libera”, anche se i primi articoli su consumi, prezzi e prodotti che ho pubblicato su queste colonne, risalgono per lo meno a dieci anni prima. Ho stampato e analizzato centinaia di pagine, salvo scoprire, alla fine, che dal 2016 ad oggi è cambiato poco o nulla sui mercati di consumo. Semmai, fra annunci e promesse mancate, rivoluzioni dei consumi proclamate e regolarmente disattese, filiere disvelate soltanto nelle intenzioni è rimasto sostanzialmente tutto come otto anni fa. Così, fare la spesa consapevole resta un affare serio. Mettere nel carrello esattamente quel che si pensa di acquistare è una sfida al limite dell’impossibile. Soprattutto perché le norme che regolano l’etichettatura dei prodotti alimentari sono spesso oscure, controintuitive e quasi del tutto sconosciute ai consumatori.
Casse automatiche. Se n’è parlato tantissimo. Negli Stati Uniti e di recente anche in Italia sono entrati in servizio i primi supermarket senza casse e senza cassieri e quasi tutte le catene hanno introdotto le casse automatiche in affiancamento a quelle presidiate da operatori umani. Il bilancio è sicuramente positivo. Gli sportelli automatici sono decisivi per alleggerire le code nei momenti di massima affluenza. Non sono poi così difficili da utilizzare come si temeva. E il bello deve ancora arrivare: l’intelligenza artificiale applicata al riconoscimento dei prodotti messi nel carrello della spesa promette meraviglie. Spesa online. Il Covid, con i lockdown indispensabili per arrestare i contagi in assenza di vaccini, ha spinto le maggiori insegne a perfezionare i portali per fare la spesa da remoto. Per alcune catene restano ancora da migliorare le schede-prodotto, tuttora incomplete e carenti nelle informazioni obbligatorie. Ma il grosso è fatto. Pressione promozionale. Il crollo delle vendite a volume innescato dall’inflazione a due cifre del 2022 ha indotto diverse reti a intensificare, sconti, offerte e promozioni.
Soprattutto le grandi superfici offrono per 365 giorni l’anno prodotti con prezzi tagliati oltre il 50%. Le promozioni sono spesso realizzate nonostante l’opposizione delle grandi marche che cercano in ogni modo di limitare lo sconto. Dop e tarocchi mischiati sullo scaffale. Nonostante se ne parli da decenni sui banconi di super e ipermercati Dop e doppioni condividono lo stesso spazio. Una scelta che ha penalizzato ad esempio i formaggi a pasta dura come il Grana Padano e il Parmigiano Reggiano e l’olio extravergine origine Italia. I similari del Grana Dop gli assomigliano al punto tale da essere praticamente indistinguibili, soprattutto per un pubblico che continua a leggere poco e male le etichette. Frutta e verdura senza gusto. Il primo articolo su pesche, albicocche, meloni e pomodori privi di sapore l’ho scritto oltre vent’anni fa. Molte delle varietà ortofrutticole derivano da incroci realizzati fra gli anni Sessanta e gli anni Settanta che puntavano ad aumentare la durata di conservazione, a scapito però del gusto. Agronomi, ricercatori e coltivatori ne discutono da decenni, ma tranne alcune eccezioni pesche, fragole, albicocche, meloni e pomodori destano insapori.
Codice Qr in etichetta. Il codice Qr, riconoscibile per il caratteristico quadratino pieno di spazi bianchi e neri, doveva rappresentare lo strumento per aprire le filiere produttive ai consumatori e rendere totalmente trasparenti i cibi. Così non è stato. Sono pochissime le aziende che lo hanno adottato, sicuramente meno dell’1%. Fra l’altro la tecnologia esistente consente di sfruttare l’interoperabilità prevista dal Qr code a costi bassissimi. Un’altra tecnologia che non si è diffusa nelle filiere alimentari è la blockchain, quella introdotta dal bitcoin, che consentirebbe di tracciare gli alimenti dall’origine fino al consumatore finale. Dopo l’entusiasmo iniziale la blockchain è caduta nel dimenticatoio. Una coincidenza? Forse perché costa troppo.
App per la spesa consapevole. Ce ne sono tantissime. Nessuna però è in grado di aiutare davvero i consumatori a contenere lo scontrino, ridurre il tempo necessario per fare shopping e limitare gli acquisti che fanno lievitare i costi. Sono forse una delle più grandi promesse mancate della digitalizzazione nei mercati di consumo. Codice doganale Ue. Il regolamento 952 del 2013 ha introdotto l’origine «non preferenziale» in base alla quale un alimento assume l’origine del Paese in cui abbia subito l’ultima trasformazione. È la madre di tutte le fregature europee. L’Italia lo contesta da anni ma è ancora in vigore. E chissà se verrà mai cambiato.
Origine obbligatoria in etichetta. Dal 2017 in poi l’Italia l’ha introdotta per numerose merceologie, come pasta, riso, salumi e formaggi, ma soltanto in via sperimentale e in deroga alle disposizioni Ue. Incombe la riforma del regolamento europeo, con il rischio che l’obbligo venga cancellato. O che resti per pochissimi prodotti.
Igp senza carta d’identità. L’obbligo di indicare in etichetta l’origine dell’ingrediente primario per i prodotti a Indicazione geografica protetta, come la Bresaola della Valtellina e la Mortadella Bologna è stato escluso dalla riforma delle indicazioni geografiche approvata sul finire della scorsa legislatura europea. Le Igp restano opache e a differenza delle Dop (Denominazione d’origine protetta), vincolate all’origine nazionale degli ingredienti, possono utilizzare materie prime di tutto il mondo.
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