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Internet, le ricerche possono essere usate per arrestare i killer prima che uccidano?

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Gianluigi Paragone
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Il tema diventa sempre più spinoso e andrebbe discusso approfonditamente. In questi giorni la cronaca nera - mai avara di tragiche notizie purtroppo- aggiunge elementi inediti, ovvero le tracce in rete di strane ricerche. Stando ai resoconti di giornali e trasmissioni tv, per esempio, Chiara Petrolini, la giovane accusata di aver ucciso due neonati, aveva cercato in rete informazioni su “come mantenere nascosta la gravidanza”, “come indurre o accelerare il parto, quali condotte tenere per cagionare, o favorire, un aborto”. E soprattutto “dopo quanto puzza un cadavere”.

Da qui l’accusa degli inquirenti di aver premeditato il duplice omicidio: le ricerche dal pc insomma erano troppo mirate. La storia si è ripetuta anche per il minorenne accusato di aver ucciso Maria Campai: egli aveva cercato sul web informazioni su “come si uccide a mani nude”.

Tralascio ovviamente tutto quel che riguarda le informazioni che si pescano dai social, qui stiamo parlando di altro, nel senso che non sono rari i casi in cui gli inquirenti ricostruiscono le esplorazioni degli indagati sui motori di ricerca e su domande del tipo sopra menzionate: tutto diventa indizio.

EFFETTO MINORITY REPORT?
Proprio questa nuova tendenza mi induce - non solo provocatoriamente- a domandarmi se tal genere di domande così “particolari”, combinate con altre navigazioni, non possano in qualche modo far scattare degli alert. Lo so che il tema è assai scivoloso perchè rischia di sfociare nella censura o nell’accusa preventiva e infondata, però una discussione andrebbe cominciata. Saremmo in una situazione tipo “Minority Report” o sarebbe invece una possibilità per fermare cattive intenzioni? Certo, uno potrebbe liquidare la questione dicendo che non prestano attenzione nemmeno quando violano le misure restrittive o i braccialetti elettronici (come accaduto recentemente a Torino), però sarebbe una grave sottovalutazione.

BUONI E CATTIVI
Un grande saggio della criminologia è I buoni lo sognano, i cattivi lo fanno, uno scritto di Robert Simon. Questo libro, frutto della lunghissima esperienza professionale dell’autore, uno psichiatra forense, parla, tra i mille spunti, delle curiosità malsane che animano una gran massa di persone; molte di queste curiosità non diventano pulsioni, pertanto chi volesse per curiosità esplorare nell’oscurità della psiche umana, non può essere nemmeno sfiorato dai sospetti: si cerca sul web magari con lo stesso atteggiamento di chi ama le serie “crime”. E nessuno ovviamente si sogna di sospettare chi guarda tal genere televisivo o cinematografico.

Potrebbe invece essere diverso se la ricerca si fa insistente, frenetica ed è correlata ad altre ricerche apparentemente generiche: un algoritmo potrebbe leggere queste informazioni e, aggregate, avvertire in qualche modo che esiste una ricerca sospetta. Non nego che, alla luce di quel che si legge sul fronte della cronaca nera, la tentazione di cedere a questa possibilità di segnalare chi compie certe ricerche è forte; poi però non mi manca il ricordo di chi, con altri mezzi, ha rovinato la vita di innocenti con accuse infondate basate su intercettazioni mal trascritte. Certo, qui è il soggetto che lascia le proprie impronte; ma la manipolazione degli account non è poi così impossibile.

Allora che fare? Beh, intanto aprire un dibattito serio a livello scientifico, accademico; allargarlo all’informazione e quindi al dibattito. E magari poi cominciare a domandarsi: ma se certe informazioni che costituirebbero l’oggetto della domanda pericolosa non fossero proprio disponibili? Del resto per quale motivo in rete ci devono essere in rete link che informano su “come si uccide a mani nude”? E poi: come si formano queste info, chi le genera?

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