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Whatsapp e smartphone: l'umanità di oggi schiava delle chat elimina il piacere della telefonata

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Ginevra Leganza
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 Come il video uccise la radio, così l’umanità chattante liquidò lo squillo. Parola del Times. E il punto insomma è che da quando s’è preso a scrivere le faccine – sorrisi, grugniti, mugugni sub specie emoji – ecco che per telefono, a voce, non ci si sente più.

«Una telefonata allunga la vita», diceva lo spot della Sip che una vecchia prozia ci rifila ogniqualvolta ci vede, dopo mesi di latitanza (nostra). Valle a spiegare, a zia, che di questi tempi una telefonata, a dispetto dei convenienti pacchetti e del vecchio spot, costa cara. Valle a dire che uno su quattro – così scrive il quotidiano britannico – soffre di “telefonofobia” (sic).

 

 

 

Spiegale poi che cos’è, la telefonofobia, a quella che a dieci anni lavorava lontano da casa senza smartphone. E dille pure che non è per accidia o impertinenza giovanile (non sia mai) che non la si chiama, ma perché la chiamata, alla generazione under 35, di annidi vita ne fa perdere a lustri, dozzine, centinaia... Altro che allungarla. La chiamata, oggi, “mette ansia”, zia. Che bella scusa.

Ed ecco. Il sondaggio del Times mostra appunto che il 37% delle persone comprese tra i 18 e i 34 anni ripiega sui messaggini. Sono i cosiddetti giovani (e pazienza se a 34 anni, come molti tipini cari agli dei, Cristo aveva già dato ed era già morto: oggi c’è la longevity e, come non esistono più le stagioni, neppure esistono più le età). E loro, si diceva, sono i giovani chattanti: whatsappari e appassionati di note audio (i famigerati messaggi vocali che odiamo ma che per pigrizia, sovente, mandiamo anche noi. E qui s’aprirebbe tutt’un ingorgo di massime morali che, a proposito di Gesù Cristo, potremmo riassumere all’incirca così: non fare al prossimo tuo quello che non vuoi sia fatto a te. Tradotto: non mandare ma soprattutto non aprire quella nota!). Comunque, dicevamo, sono i cosiddetti giovani.

Ai quali telefonare non piace, giacché – leggiamo – è costume caduto in disuso, reputato vecchile, più o meno come la canzone: “...Se telefonando io / potessi dirti addio...”. Al punto che per il 70% dei fobici, allorché squilla, dall’altra parte della cornetta è giusto in agguato un addio. O perlomeno un menagramo, un seccatore. Insomma una sfiga. Se il numero è sconosciuto, poi, non ne parliamo. Non si risponde, dice il Times (benché molto spesso l’anonimo non sia Ghostface della saga “Scream” ma solo un tapino del call center: outcast dei nostri tempi che come la zia, lavoratrice a dieci anni, non ha paura di niente).

Sicché la telefonata, che all’inizio della sua storia era foriera di amoretti o poteva essere tutt’al più noiosa (Gesualdo Bufalino scriveva che a una donna amata scrivi lettere e a una donna obliterata telefoni), ecco che è diventata fonte d’ambasce. Ossia di anzie, con la zeta (come si suol whatsappare). E tutta l’angoscia di dire “pronto?” si diluisce, oggi, in fiumi di parole scritte anche per noi, come per Bufalino. In clic-clic che però sfociano in tutt’altre epistole. Ché se pure con la chat abbiamo disimparato a parlare non per questo, si sa, abbiamo imparato a scrivere. A meno di non dire, anche noi, come la gang dello schwa, che la lingua è un “fatto dinamico”. Che in fondo le piane e le sdrucciole soppiante da una massa di tronche (tesò, amò, aò) – e dall’anzia con la zeta – altro non sono che l’italiano. Né burocratico né poetico. Bensì vernacolare. L’italiano del paese reale che però alla realtà, allorché squilla, non risponde.

Ed è questo, ancora, un ultimo punto. La realtà che sta dietro lo squillo. La quale, a differenza della realtà che sta dietro lo schermo, è la realtà vera. La realtà del logos e della phoné. La realtà non del linciaggio social – che si consuma via chat – ma molto più spesso del lavoro e fin troppo spesso, a dispetto di Bufalino (che comunque era uno scrittore mica un spasimante delle emoticon), dell’ammore con due emme.

Quello che quando viene il campanello suonerà. Quello del “dirsi ti amo per telefono / e poi saltare anche la cena per parlare” (Gianni Togni). Quello che sta dietro una bocca che parla e uno smartphone che trilla. E che chissà perché, adesso, non entusiasma più. La realtà che è diventata tremenda manco di anni se ne avesse tutti – dai 18 ai 34 – 90. Come la paura (della cornetta, s’intende). Ma vabbè, son discorsi oziosi questi, se le stagioni della vita son come le stagioni metereologiche. Se, come s’è detto, non esistono più.

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