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Funerale ecologista, ecco a cosa sono ridotti gli italiani: un orrore

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Claudia Osmetti
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La cerimonia in strea- ming. La geolocalizzazione delle tombe. Le tombe col Qr-code. Il memoriale on-li- ne. L’app dell’ultimo saluto. L’eredità digitale. Gli eventi commemorativi in rete, il camposanto hi-tech, gli olo- grammi. La “tanatoestetica” (esiste, esiste), il book delle condoglianze sui social, la co- rona di fiori virtuale (o reale, però ordinata rigorosamente tramite telefonino). Persino le urne cinerarie biodegrada- bili: in fibra di cocco, in legno naturale. E le bare in cartone riciclato. Oppure in bambù. Non scamperemo alla morte (corna), ma di questo pas- so non scampiamo nemmeno alla tecnologia. O alla mania eco-verde-ambiental sostenibile. Pure lì, in quel mo- mento lì, quello del polvere-eri-e-polvere-sarai che è uno dei pochi istanti veramente democratici dell’esi-stenza (toccherà a tutti, ri-cor-na) ma anche una delle tante (oramai) occasioni telematiche. Il funerale vecchio stile non va più di moda.Il carro, il corteo, la messa in chiesa, in presenza, coi parenti stretti seduti in prima fila e i conoscenti dietro, son-passato-giusto-per-per-vicinanza: roba da secolo scorso. Superata.

Adesso c’è il web, c’è l’intelligenza artificiale, ci sono quelle diavolerie virtuali che ti permetto addirittura di parlare con chi se ne è andato (nel senso che è deceduto): i grief-bot, che sono un incrocio tra i chat-bot (i servizi di messaggistica immediata per controllare l’avanzamento di una spedizione col corriere o risolvere un guasto alla linea cellulare) e il finto medium spillasoldi degli anni Novanta. Senza l’odore di incenso alla cannella in uno stanzino dall’arredamento hippy.

 

 


Cambia tutto, si evolve tutto: i cipressi nel Dei Sepolcri di Foscolo, oggi, sarebbero ricreati coi laser e va da sé che il carme stesso finirebbe per essere ridotto a un testo abbreviato per un messaggio su Whatsapp (magari con qualche emoticon a condimento). Precisazione, più o meno dovuta: siamo figli dei nostri tempi. Nasciamo, viviamo e moriamo in un contesto storico che, ovviamente, ci influenza. Non necessariamente in bene, non per forza in male. Paghiamo, tra l’altro, lo scotto della pandemia: perché sono nate allora, in quegli anni bui, il 2020, il 2021, quelli del distanziamento sociale, dei riti negati, le esequie 4.0.
Solo che, archiviata l’emergenza, non abbiamo archiviato loro. Vuoi per comodità, vuoi per pigrizia, vuoi perché ci danno l’illusione di essere dentro una vita nuova, qualsiasi essa sia. E quindi eccoci qui. Con le webcam al cimitero, per seguire l’ultima benedizione in diretta, magari con la stessa faccia seria di quando siamo costretti a una videoconferenza col capoufficio. Coi servizi cimiteriali a portata di app (ce ne sono alcune che, laddove implementate, permettono di richiedere la pulizia di una lapide a distanza: tu sei in vacanza a Singapore e ordini a un inserviente di cambiare i fiori al bisnonno che era stato a Caporetto). Coi Qr-code da scansione sulle lastre e sulle tombe. Con le stanze virtuali che suppliscono alla veglia e permettono di condividere i ricordi senza manco uscire di casa. Con l’estetica potenziata (la “tanatoestetica”, appunto) che mica si limita a dare una sistemata al cadavere.


E poi con l’onnipresente ossessione per l’eco-friendly in base al quale, oramai, devono essere sostenibili anche le bare e le urne (aperta parentesi: in Francia un cimitero ha da qualche tempo istallato 5mila pannelli solari, cosa servano ai suoi ospiti vai a capirlo, di fatto hanno trasformato quei viali in una piccola centrale elettrica che fornisce energia alla comunità locale. Niente di male, per carità: però perché? Chiusa parentesi). Il comparto funebre, in Italia, conta circa 6mila imprese, molte delle quali da qualche anno usano i social media e sono seguitissime. Il fatturato complessivo nazionale sfonda i tre miliardi di euro all’anno. Questi, tuttavia, son soldi realissimi. Altro che bitcoin.

 

 

 

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