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Intelligenza artificiale? La formazione è decisiva per non subire la tecnologia

Bruno Villois
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Il più bel Paese del mondo che è il nostro, grazie ad una natura particolarmente generosa e generazioni passate dotate di genialità e intraprendenza irripetibili, si trova a dover affrontare in un quadro geopolitico internazionale deteriorato una serie di problematiche-opportunità che forse non hanno precedenti per ampiezza e per accelerazione delle tempistiche che alimentano le sfide internazionali e la celerità delle trasformazioni. Mi riferisco in particolar modo all’intelligenza artificiale e alla sfida delle competenze e la ridefinizione del lavoro e dei saperi. Alle transizioni 5.0 che comportano sfide e opportunità per il manifatturiero. Al ruolo di università, imprese e Its per l'innovazione del sistema di istruzione e formazione dei giovani.

A concorrere alla definizione di risposte, che si devono tradurre in programmi articolati in progetti finanziati e scadenzati, debbono essere coinvolti in eguale misura il sistema pubblico nazionale e locale, le rappresentanze datoriali e sindacali dei lavoratori dipendenti e quelle dei mondi del sapere, della cultura e della ricerca. Ciascuno di essi, sotto la regia del governo, ha l’opportunità-esigenza di dovere-potere fare squadra, cosa che in Italia si fa poco e male, e superare gli interessi propri a favore di quelli complessivi. Sono i capitoli prima richiamanti a costituire la sfida da superare e l’obiettivo da raggiungere, ovvero tornare ad una crescita costante e sostenibile del prodotto interno lordo che sia prossima ai due punti percentuali anno, mantenendo nel capitale umano il riferimento, in modo da gestire l’intelligenza artificiale e non farsi sostituire da essa.

 

L’intelligenza artificiale è in rapida e irrefrenabile ascesa, negli Usa sono già stati convogliati dal privato, con il supporto pubblico, centinaia di miliardi di dollari e molti altri, forse il doppio o il triplo, verranno aggiunti. Nell’area euro difettano le risorse finanziarie, così come sono poche le imprese di adeguate dimensioni che possano realizzare sistemi di intelligenza artificiale, i cui pilastri sono le reti neurali artificiali costituite da unità computazionali interconnesse tra loro, per le quali servono tecnologie e risorse che solo le grandi major statunitensi dell’innovation technology, quotate al Nasdaq, possono permettersi.

Le transizioni 5.0 che rappresentano elementi indispensabili per futuro, già oggi godono di regimi di credito d’imposta, ma è necessario che trovino una propria strada di investimenti da indirizzare al software, al fotovoltaico, alla formazione, tre pilastri in cui il capitale umano deve essere protagonista. E per esserlo deve agganciarsi al ruolo delle università e, come accade in Germania e Francia, a quello degli Its academy, scuole di eccellenza ad alta specializzazione tecnologica post diploma che permettono di conseguire il titolo di tecnico di elevato standing. Serve una vera connessione tra istruzione, formazione e lavoro con le politiche industriali. Per riuscirci è indispensabile fare squadra. Purtroppo sono già molte le occasioni perse. Una situazione che ha spinto il nostro Paese verso sistemi inadeguati a mantenere in mani italiane il controllo delle filiere, vero fiore all’occhiello del made in Italy, invidiato in ogni dove, ma ormai quasi completamente sotto controllo di capitali esteri.

 

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