Cancro, un test casalingo immediato per scoprire la malattia con una goccia di sangue
Lo guardi e sembra una chiavetta Usb. Di un blu scintillante, pare quasi cromato, con l’attacco nero, sta nel palmo di una mano. Si chiama Simot, è ancora in fase di sperimentazione (la quale sarà vagliata dal ministero della Salute) ed è un progetto ambizioso anche se è stato sviluppato nel 2016 e quindi testato e migliorato nel corso di quasi otto anni. Ambizioso perché ha un obiettivo mica da poco, Simot: metterci in gradi di fare diagnosi precoci sui tumori, ma anche su altre malattie, direttamente a casa nostra.
A DOMICILIO
O, per chi preferisca, nello studio del proprio medico di famiglia o alla farmacia dietro l’angolo. La logica di base, infatti, è un po’ quella del tampone per il Covid: gli bastano piccolissimi campioni biologici (del sangue, della saliva o delle urine) e al resto, Simot, pensa da sé.
«Questo micro-transistore», spiega il professore Gennaro Cormio, che dirige l’unità operativa di Ginecologia oncologica clinicizzata dell’Istituto dei tumori Giovanni Paolo II di Bari (e Bari ritorna in questa storia, eccome), «è un dispositivo piccolo di pochi centimetri che può essere collegato a un banale computer o a un telefono cellulare».
E dopo? «È in grado di rilevare delle quantità estremamente piccole di molecole, acidi nucleici, biomarcatori». Funziona tramite un sistema a “cartucce usa e getta”: non rilascia un elenco di patologie con l’eventuale spunta laddove ci sia qualche criticità. Insomma, non è il classico referto delle analisi del sangue con l’asterisco sui valori “sballati”.
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Ogni malattia ha il suo biomarcatore e i dati raccolti da Simot saranno processati con un algoritmo dell’intelligenza artificiale (l’incidenza dei falsi positivi è negativi è stimata sotto l’1,5%). «Il nostro obiettivo è validare la sua efficienza», continua Cormio, «al fine di poterlo utilizzare per testare una serie di potenziali biomarcatori di svariate patologie, che potrebbero essere di tipo neoplastico ma anche degenerativo». L’hanno messo a punto, questo device (si spera) salva pelle, l’università di Bari assieme a quella di Brescia, che anche territorialmente è un fatto di buon auspicio: c’è l’Italia di mezzo e quando l’Italia si unisce, cioè quando i suoi professionisti fanno fronte comune, le idee vengon fuori.
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Attenzione: Simot non è ancora sul mercato e non è ancora nemmeno una realtà ospedaliera generalizzata. La sua sperimentazione è stata avviata meno di tre giorni fa proprio nel reparto di Cormio, all’Istituto dei tumori di Bari (eccolo che è tornato, il capoluogo pugliese): prevede di arruolare cinquanta pazienti con una rilevazione di 1.500 campioni di sangue, plasma e urine. E permetterà, soprattutto, di validare le prestazioni di Simot. La strada è tracciata, le impressioni sono buone, le aspettative pure: però, come tutto ciò che riguarda la ricerca scientifica, bisogna avere pazienza.
Questa fase dovrebbe durare su per giù un anno e mezzo e poi la via è ancora in salita, nel senso che la scienza (benedetta scienza) non procede a tastoni, ma segue iter rigorosi perché è giusto sia così e il contrario sarebbe solo cialtroneria.
Luisa Torsi, la presidente del Centro di innovazione regionale Single-molecule digital assay, in una recente intervista, dice che i successivi passaggi «potrebbero portare via all’incirca cinque anni». «Si tratta di un dispositivo economico, portatile, rapido», aggiunge durante la presentazione di Simot, «che garantisce l’affidabilità di un test molecolare. Ora entriamo nella fase della pre-commercializzazione per capire quale sia la sua robustezza».
ECONOMICO E RAPIDO
Economico, perché il sistema a “cartucce usa e getta” non prevede un costo, anche per l’utente, eccessivo (a ogni modo è prematuro parlare ora prezzi e dettagli al portafoglio). Portatile, perché è come maneggiare un micro-palmare. Rapido, perché dovrebbe impiegare una ventina di minuti E soprattutto unico al mondo. «Questo progetto ci proietta nel futuro», commenta il direttore generale dell’Istituto dei tumori di Bari Alessandro Delle Donne, «e ci permette di realizzare parte della nostra mission: l’innovazione tecnologica al servizio degli screening di massa». Ché poi, stringi stringi, è il punto centrale: una diagnosi precoce, sempre più precoce, quantomeno rispetto a quella che abbiamo adesso, significa una possibilità di intervento più tempestiva che a sua volta vuol dire una probabilità di successo (sia clinico che economico, ossia legato alle risorse del sistema sanitario: perché pesano anche quelle ed è inutile tacercelo) maggiore. Hai detto niente.