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Gianluigi Paragone: così la lirica batte l'intelligenza artificiale

Gianluigi Paragone
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Non passa giorno che non ci si interroghi sui miracoli dell’intelligenza artificiale, sulle sue potenzialità e anche sui suoi limiti. Giusto che il progresso vada avanti- si deve dire così, no?- sui binari della tecnologia digitale. Guai a mettere in dubbio i progressi...

del progresso. Certo, qualche aggiustatina va data per evitare che i signori delle macchine diventino i nuovi padroni del mondo, anche se qualcuno già parla di un pericoloso (quasi feudale) capitalismo della sorveglianza e ci veda una notevole postura padronale.

Ma perché tormentarci troppo, suvvia: in fin dei conti quanta comodità abbiamo grazie alle meraviglie create dalle Big Tech, quanta libertà ci hanno dato in cambio del loro diritto a intrufolarsi nelle nostre vite e accaparrarsi ogni singolo momento, ogni singolo dato (anche quello più protetto dalla privacy), ogni immagine, video e parola; ogni nostro desiderio che timidamente prende forma nei motori di ricerca ma che magari al momento non ti puoi permettere salvo, per magia, ritrovartelo con martellante insistenza in ogni angolo di social o in ogni pagina che apri: compra subito, buy now. Meglio se a rate, come modernità impone. Tu cerchi, loro ti danno.

 

 

L’intelligenza artificiale, dicevamo. La nuova frontiera della comodità: tu fai una domanda e la macchina ti dà la risposta; tu poni una questione e lei ti indica la strada. Su ogni cosa perché le I.A. non hanno limiti: leggevo ieri del miracoloso Cyber Burger, il panino del futuro perfetto, creato attraverso la versione pro di ChatGpt; il programma prevedeva l’uso della carne sintetica ma siccome in Italia è vietata il ripiego è stato un hamburger vegetale al cento per cento. Sono progressi, no? E noi qui a scaldarci per far entrare il cibo italiano nel patrimonio immateriale Unesco.

PATRIMONIO UNIVERSALE  - A proposito, la lirica italiana è stata appena riconosciuta come patrimonio universale: non è fantastico? Quel canto operistico che è famoso in tutto il mondo, nelle partiture di autentici giganti quali- per fare i nomi più illustri Giuseppe Verdi, Giacomo Puccini, Vincenzo Bellini, Gioacchino Rossini e Gaetano Donizetti, quel canto che attira nei teatri e nelle arene migliaia e migliaia di appassionati, è un pezzo della creatività italiana unica (tanto che l’italiano è nei fatti la lingua ufficiale dell’opera). Una creatività che esplode nelle più importanti arti con nomi che restano tanto immortali quanto sempre attuali.

 

 

Pensiamo alle arti figurative: da Michelangelo a Leonardo, da Raffaello a Caravaggio, da Canova a Bernini, da Donatello a Modigliani. Geni (non basta dire artisti) capaci di sopravvivere ai tempi fondendo le opere alle loro intuizioni, intuizioni umane.

Siccome leggo di arte realizzata con l’intelligenza artificiale, di musica realizzata dall’intelligenza artificiale, di sculture realizzate da stampanti digitali che materializzano disegni della I.A., mi domando: è arte, è speculazione o altro? Ma soprattutto cosa resterà di tutto questo passaggio digitale? L’altro giorno abbiamo discettato a proposito dei due libretti verdiani, il Don Carlo e il Don Carlos; ne abbiamo letto l’attualità (l’opera vive perché sviscera sempre le stesse profonde vicende umane) e commentato la mondanità, come sempre accade alle prime della Scala, il tempio assoluto della lirica. Non credo che l’intelligenza artificiale saprà creare arte e consegnarla ai posteri come accade per Verdi o Michelangelo o Dante. (Purtroppo sarà più facile che le macchine accelerino quei danni che piccole persone mettono in piedi senza accorgersi delle devastanti conseguenze). 

 

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