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Sperma compromesso dal Covid: lo studio che rivela le gravi conseguenze

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Claudia Osmetti
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Chi ha contratto il Covid potrebbe avere spermatozoi meno numerosi e più lenti, anche tre mesi dopo l’infezione e anche se il virus se l’è beccato in forma lieve. È quanto afferma uno studio spagnolo presentato in questi giorni a Copenhagen, in Danimarca, al Congresso annuale della Eshre, che è la Società europea di riproduzione umana ed embriologica. Quel maledetto Sars-Cov2, che era una malattia nuova (nel 2020) e che lo è ancora adesso perché i suoi effetti a lungo termine non li conosciamo, stiamo imparando ora a studiarli.

 

 

Non si sa, al momento, se il Covid possa avere ripercussioni sulla fertilità maschile, si sa che «poiché servono circa 78 giorni per produrre nuovo sperma», come spiega Rocio Núñez-Calonge, un consulente scientifico dell’Ur international group all’unità di Riproduzione scientifica di Madrid, «ci è sembrato opportuno valutarne la qualità almeno tre mesi dopo la guarigione» dal Covid. E sorpresa: «La nostra ipotesi era che sarebbe migliorata, ma così non è stato. Non sappiamo quanto tempo potrebbe essere necessario per ripristinare la qualità spermica» pre-infezione e non si possono comunque escludere «danni permanenti».

 

 

Archiviata la pandemia, archiviate le misure di restrizione, tocca fare i conti con gli “strascichi” di un virus che l’esistenza ce l’ha già scombussolata a sufficienza. I ricercatori di Núñez-Calonge hanno appurato che nella metà degli uomini esaminati novanta giorni dopo la negativizzazione la conta degli spermatozoi era più bassa (sensibilmente più bassa: del 57%) rispetto a quella eseguita prima. 

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