Scompenso cardiaco, il valore del sangue che ti condanna: la scoperta
Per prevenire lo scompenso cardiaco basta sottoporsi ad un semplice esame di sangue e valutare così se si è a rischio. Uno studio del Centro Cardiologico Monzino, pubblicato sulla rivista European Journal of Preventive Cardiology, rivela come il "deficit funzionale" di ferro sia un fattore prognostico che contribuisce a prevedere l’evoluzione della malattia e permette di curarla meglio. I dati appena pubblicati confermano, infatti, che nei pazienti con scompenso cardiaco il deficit “funzionale” di ferro si associa a una prognosi peggiore, motivo per cui è molto importante diagnosticarla e trattarla per ridurre il rischio di mortalità.
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È noto che anemia e deficit di ferro sono fattori di rischio per ospedalizzazione e mortalità nei pazienti con scompenso cardiaco. Si stima, infatti, che l’anemia, che significa scarsi valori di emoglobina nel sangue, riguardi il 53-58% dei pazienti con scompenso, mentre il deficit di ferro, definito come insufficienza della disponibilità di ferro per le necessità di tutto l’organismo, sia presente nel 60-70% dei pazienti.
“Il deficit di ferro se definito esclusivamente secondo i criteri delle Linee Guida Internazionali non sempre permette di identificare tra tutti i pazienti con scompenso cardiaco quelli a rischio più elevato e che quindi, più degli altri, giovano di supplementazione di ferro. Noi, grazie ai nostri studi, abbiamo identificato quali sono i parametri in grado di individuare questo sottogruppo di pazienti a più alto rischio. Si tratta dei pazienti che presentano un deficit funzionale di ferro, vale a dire pazienti che presentano valori di ferritina (il ferro “in stock” in alcuni organi) fra 100 e 300 mcg/L e saturazione della transferrina (la proteina che trasporta il ferro nel sangue) inferiore al 20%", spiega Piergiuseppe Agostoni, coordinatore dello studio, direttore del Dipartimento Cardiologia critica e riabilitativa del Monzino e professore ordinario di Malattie cardiovascolari all’Università degli Studi di Milano.
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"In pratica in queste persone la disponibilità di ferro è insufficiente per lo svolgimento delle funzioni cellulari, prima fra tutte la produzione di energia, anche se hanno globalmente adeguati depositi di ferro", prosegue il professore. "Infatti, affinché la quantità di ferro non influisca negativamente sulla gravità della malattia occorre che ve ne sia abbastanza, sia fermo nei depositi che 'in circolazione', cioè a disposizione di tutte le cellule dell’organismo che ne hanno bisogno. Un altro importante aspetto da tenere in considerazione è che la prognosi peggiore associata al deficit funzionale molto probabilmente è causata dalla presenza di uno stato infiammatorio cronico. Questa osservazione cambia il modo di vedere lo scompenso, che può manifestarsi anche come una malattia infiammatoria".