Covid e fumo passivo: lo studio dell'Università San Raffaele
Fumo passivo e Covid, le nuove ricerche dicono qualcosa di allarmante. Se ne è parlato nello speciale Medicina33 del Tg2. All'origine di tutto una notizia pubblicata soprattutto dalla stampa estera nel 2020, a inizio pandemia. Notizia secondo cui il fumo, o meglio la nicotina, poteva proteggere dal Sars-CoV-2. La professoressa Patrizia Russo dell’università San Raffaele ha spiegato: "Il mondo scientifico si allarmò all’istante, si sa che il fumo di sigaretta produce più problematiche, non protegge".
La prof da anni studia gli effetti della nicotina: insieme al Mebic e all’università San Raffaele si è cercato di capire quale relazione ci fosse tra Covid e nicotina. “Abbiamo dimostrato che trattando delle cellule broncoalveolari umane, la nicotina faceva aumentare non solo il suo recettore, quello nicotinico, dopo l’aumento di quel recettore si apriva una cascata enzimatica all’interno delle cellule e questo faceva sì che aumentasse il recettore di Sars-CoV-2. Immaginate il virus come una siringa che arriva, si lega al suo recettore che è sulla membrana cellulare e inietta dentro il materiale genetico del virus. Subito abbiamo pensato: attenzione, la nicotina non protegge", ha proseguito la Russo.
Il lavoro di ricerca è stato realizzato in collaborazione con il laboratorio di virologia dello Spallanzani. Mario Cristina del Mebic San Raffaele ha spiegato: "Abbiamo dimostrato che la nicotina aumenta notevolmente l’espressione dei recettori che il virus utilizza per entrare nella cellula. La nicotina nelle cellule infettate aumenta la risposta infiammatoria". Quindi ricapitolando: nelle cellule trattate precedentemente con nicotina è come se si spalancassero tante porte permettendo al coronavirus di entrare più facilmente portando alla degenerazione e morte delle cellule umane. "Questo effetto lo provocano anche le sigarette elettroniche e il fumo passivo", ha precisato infine la professoressa Russo.