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Tè e caffè, rischio di cancro al fegato: ecco la quota giornaliera da non superare

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Basta una sola bevanda zuccherata come tè o caffè al giorno e il rischio di cancro al fegato aumenta. Lo rivela uno studio della University of South Carolina, che ha preso in esame i dati di 90mila donne nel periodo post-menopausa. Si tratta di donne che avevano deciso di partecipare alla Women's Health Initiative, uno studio a lungo termine lanciato nei primi anni Novanta. I ricercatori americani hanno osservato e studiato la salute di queste persone nell'arco di 18 anni. Circa il 7% delle donne ha rivelato di consumare una o più bevande zuccherate al giorno. E proprio tra di loro - come riporta il Sun - si è osservato un aumento della probabilità di contrarre il cancro al fegato del 78%. 

 

 

 

Alla fine, delle donne esaminate ben 205 hanno sviluppato la malattia. Una malattia che porta con sé affaticamento, perdita di appetito, malessere, dolore alle costole. Chi consumava almeno una bibita analcolica al giorno, invece, aveva il 73% di probabilità in più di sviluppare il cancro rispetto a chi ne beveva poche al mese o non ne consumava affatto. "Il nostro studio suggerisce che il consumo di bevande zuccherate è un potenziale fattore di rischio - ha spiegato uno degli autori, Longgang Zhao -. Sostituire queste bevande con acqua e caffè o tè non zuccherati potrebbe ridurre significativamente il rischio di cancro al fegato". I risultati della ricerca sono stati presentati all'incontro annuale dell'American Society for Nutrition. In ogni caso, sarebbero necessari altri studi per determinare se e perché le bevande dolci incidono così tanto sullo sviluppo della malattia. 

 

 

 

Secondo i ricercatori, c'è un nesso perché lo zucchero aumenta il rischio di obesità e diabete di tipo 2, che a loro volta sono fattori di rischio per il cancro al fegato. E non solo: queste bevande infatti possono contribuire anche all'insulino-resistenza e all'accumulo di grasso nel fegato, cose che a loro volta incidono sulla probabilità di sviluppare la malattia. Uno dei limiti di questo studio, però, è che i ricercatori hanno solo osservato e non dimostrato concretamente l'esistenza di questo legame. 

 

 

 

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