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Vaccini, Francesco Vaia e la "seconda dose booster". Omicron, cosa sta per cambiare

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Negli ultimi anni abbiamo imparato a conoscerlo. Francesco Vaia, il direttore dell'istituto nazionale Spallanzani di Roma, è abituato a parlare chiaro. E a dire le cose come stanno. Coi tempi che corrono, mica è poco. «Negli Stati Uniti», racconta, «sono in corso delle sperimentazioni e, a giugno, dovremmo aver i risultati circa il vaccino aggiornato contro il coronavirus. Così potremmo allestire la nuova vaccinazione già a partire dall'autunno di quest'anno».

 

 

 

 

Professor Vaia, di quale fiale stiamo parlando? 
«Di quelle emendate, cioè aggiornate. Codificate, in sostanza, per la proteina Spike che è mutata in base alle varianti che, attualmente, stanno circolando».
Cioè Omicron. Ma allora ha senso, adesso, continuare a usare quelle che abbiamo, che invece sono tarate sul ceppo originale di Wuhan? 
«Ha sicuramente senso parlare di una seconda dose booster per le persone altamente fragili e per gli immunodepressi, che poi sono quelli per cui la campagna vaccinale è già iniziata. Ma purtroppo procede alquanto a rilento».
In che senso? 
«Per il momento si è vaccinato solo il 10% della popolazione target e appena il 23% degli immunodepressi. Per loro, che sono ad almeno quattro mesi dalla prima dose booster, il rischio attuale è ancora troppo alto».
E per tutti gli altri? Qui ogni giorno viene sequenziata una nuova variante. Omicron 4, Omicron 5. Dobbiamo preoccuparci?
«No, non c'è motivo di spaventarci. Ormai abbiamo imparato che questo virus è dotato di una rilevante capacità di mutare. Le ultime subvarianti (o sottolignaggi) della variante Omicron sono già arrivate in Italia e i dati di sorveglianza ci dicono che per ora si assestano su una presenza inferiore all'1%».
Però sono molto più contagiose di Omicron 1... 
«Vero. Ed è verosimile che, come sta già avvenendo in Sudafrica, sostituiranno quelle precedenti. Ma ciò non dovrebbe rappresentare un problema. Soprattutto se avremo quei vaccini emendati che abbiamo ricordato poco fa. Tra l'altro la patogenicità, ovvero la capacità di generare una malattia grave, sembra la stessa della Omicron originaria. Vuol dire che è abbastanza bassa nella popolazione vaccinata, decisamente più bassa di quella che abbiamo conosciuto nelle ondate precedenti».
Ma allora, in autunno, la quarta dose la faremo tutti? 
«È più corretto chiamarla "seconda dose booster". Detto questo, va considerata una priorità per i soggetti fragili, gli anziani e gli immunodepressi. Oltre che per le persone più esposte, come gli addetti ai servizi essenziali. La protezione immunitaria sta scendendo in tutta la popolazione a mano a mano che ci si allontana dalla prima dose booster. Quindi, sì: può essere ragionevole pensare a un richiamo annuale, magari da collocare in autunno, contestualmente alla vaccinazione anti-influenzale».
 

 

 

I vaccini che abbiamo comprato e che sono inutilizzati li stiamo spedendo in Africa. Facciamo bene? 
«Gestire le scorte vaccinali in una prospettiva di pianificazione globale è certamente una buona opzione. Non solo per motivi umanitari, ma anche di sanità pubblica. Sappiamo, per esempio, che le nuove varianti sono emerse in aree a bassa pressione vaccinale e che, in particolare, si sono sviluppate in soggetti immunodepressi non vaccinati, i quali possono ospitare un'infezione persistente che genera inevitabilmente nuove mutazioni».
Insomma, nel mondo globalizzato o ci si salva tutti o non si salva nessuno. È corretto?
«Aumentare la protezione vaccinale dei Paesi a minore risorse corrisponde al porsi in una logica etica e soprattutto scientifica. La somministrazione del vaccino a queste popolazioni eviterà una recrudescenza della pandemia».
E con gli antivirali come è andata?
«Dai dati di monitoraggio dell'Aifa (l'Agenzia italiana del farmaco, ndr) abbiamo trattato poco meno di 60mila persone con gli anticorpi monoclonali e circa 46mila con gli antivirali».
Troppi o troppo pochi?
«In più di 100mila persone con fattori di rischio abbiamo ridotto in modo significativo la progressioni verso le forme gravi della malattia nonché la morte, in una misura anche dell'80%. Abbiamo evitato, cioè, molte ospedalizzazioni e diversi decessi: a me sembra un grande risultato clinico e della sanità pubblica che dimostra come questa strategia, su cui noi ci siamo espressi a favore tra i primi, è uno dei principali strumenti. Accanto alla vaccinazione, ovvio. Tuttavia sappiamo che il target ottimale di popolazione era decisamente più alto».
Cosa è andato storto?
«I problemi principali sono stati la tempistica e la raggiungibilità capillare delle persone. L'integrazione tra ospedale e territorio non sempre ha funzionato a dovere. C'è stata anche una forte variabilità tra le Regioni e questo pone l'accento, ancora una volta, sull'organizzazione territoriale della salute».
Un'ultima cosa. Velocissima. Come andrà l'estate?
«Avremo una riduzione dei casi, come in passato. Ma non dimentichiamo che le varianti attuali sono molte più contagiose del virus ancestrale. Quindi manteniamo un atteggiamento responsabile».

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