Omicron, trasmissibilità e infezione: "Cosa ancora non sappiamo". Due mesi dopo, un dubbio atroce
La variante Omicron è predominante in Italia, ma cosa sappiamo davvero di questa nuova mutazione del Covid? A due mesi di distanza dalle prime descrizioni, è Guido Silvestri a fare chiarezza. Il virologo, professore della Emory University, delinea alcuni aspetti peculiari che hanno influenzato questa fase pandemica. Prima caratteristica che contraddistingue la Omicron è la sua trasmissibilità. "Questo - spiega Silvestri sulle colonne di Repubblica - è dovuto all'alta affinità di questo virus per il suo recettore e alla capacità di aggirare (in parte, non totalmente) le risposte immunitarie anticorpali". Eppure questo non va di pari passo con la pericolosità. Anzi, la nuova variante ha una mortalità ridotta del 91 per cento. Quest'ultima è dovuta alla minore capacità di infettare le cellule polmonari (e quindi di causare polmonite severa).
Un'altra evidenza che fa ben sperare, prosegue Silvestri, è il fatto che "i vaccini sono poco efficaci nell'evitare i contagi, ma funzionano bene nel prevenire l'infezione severa". Dati alla mano, in Sudafrica, nel Regno Unito e a New York i contagi sono sì in rapida crescita, ma non corrispondono a un rialzo delle terapie intensive. A cosa sia dovuto non è dato sapersi: "Al momento non conosciamo se e quanto le caratteristiche chiave di Omicron - più trasmissibile, meno patogenica - siano legate da una relazione causale oppure si siano sviluppate in modo indipendente", conferma lo stesso Silvestri.
Altrettanto sconosciuto il futuro di questo virus, anche se tutto farebbe pensare che "si endemizzerà, mantenendo probabili picchi stagionali di incidenza ai quali bisognerà essere preparati al meglio". La soluzione? Ancora una volta il vaccino. Solo il siero contro il Covid riuscirà "a contrastare l'ipotetica ma sgradevole possibilità di nuove varianti che coniughino la trasmissibilità di Omicron con l'aggressività di Delta".