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Lettere, la consonante che definisce il male: l'esperimento linguistico tra realtà e occulto

Lettere dell'alfabeto

Mauro Cosmai
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La realtà ha molti aspetti curiosi ma non inspiegabili, al pari dell'occulto, incontri ravvicinati e visioni mistiche. A volte anche una piccola consonante può caratterizzare una parola, un titolo, un concetto. Ai primi posti c'è con ogni probabilità la "k", componente aggiunta e ormai abituale del nostro alfabeto, dal suono duro e prossima a soppiantare il nostrano "ch". I romani antichi (quelli più tosti) avevano oltre la "k" anche la "c" dura; Cicero (Cicerone) si pronunciava "Kìkero" e Caesar "Kaèsar". Ma il valore semantico di questa lettera dell'alfabeto si evidenzia prevalentemente nel linguaggio scritto.

 

 

Alcuni esempi per chiarire: il titolo di un vecchio film è "L'amerikano"; la "k" era voluta per denotare un plus dal momento che il protagonista era un cattivo. L'amerikano non era soltanto un americano ma qualcosa di più duro. Altro esempio riguarda il personaggio del dottor Frankenstein, creatore di un umanoide rappezzato assemblando parti di corpi umani. Questo mostro viene però confuso con lo scienziato stesso, infatti nell'accezione comune è stato da subito identificato con lo spigoloso cognome del medico, che s' attagliava felicemente al terrifico gigante. Non sarebbe successo se detto cognome fosse stato molto più dolce o piuttosto buffo come altri cognomi. Un ultimo cenno anche al "dottor Jekill" e "mister Hyde". Il malvagio nel quale si trasforma il coraggioso sperimentatore è mister Hyde ma il comune lettore spesso e volentieri tende ad appellare il cattivone di turno come dottor Jeckill. E' il nome che più si confà al sinistro e minaccioso figuro.

 

 

Anche la psicologia ha vidimato da tempo queste percezioni in base a un semplice esperimento, mostrando a più soggetti due disegni, uno composto da segmenti spezzettati dagli angoli acuti e l'altro da morbide e avvolgenti linee curve, chiedendo successivamente di attribuire a ogni rispettivo disegno il nome "Takete" o in alternativa "Maluma". Facile intuire che la pressoché totalità dei partecipanti battezzò come "Takete" il disegno scheggiato e come "Maluma" quello arrotondato. Non si tratta soltanto di dissertazioni psicolinguistiche, va ricordato che gli umani hanno creato infiniti simboli per comunicare. È sufficiente un segno o un tono, come insegnano semiologi e glottologi, per plasmare significati e significanti. Giocano dunque l'emotività e la familiarità con certi suoni ma resta comunque determinante la mediazione culturale.

*Psicoanalista -Sessuologo

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