Cervello, declino cognitivo e demenza: ecco il cibo che "danneggia" la mente
Siamo quel che mangiamo. Nulla di più vero: il cibo, infatti, ha una profonda influenza sul mantenimento di un buono stato di salute. Anche per quel che riguarda il cervello, i cui destini sono legati a doppio filo alla nostra alimentazione: in particolare, scegliere del cibo sano ci può difendere da declino cognitivo e demenza nella terza età. E questo sia in fase di sviluppo che di invecchiamento del cervello.
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Delle evidenze in tal senso sono arrivati dai ricercatori dell'università di Atene, che hanno analizzato le abitudini alimentari e la condizione cognitiva di circa mille cittadini dell’età media di 73 anni, nessuno dei quali mostrava segni di demenza all’inizio dell’indagine. Il campione è stato suddiviso in base a tre tipologie di diete: quella a più elevato contenuto era caratterizzata da 20 porzioni di frutta a settimana, 19 di verdura, quattro di legumi e 11 tazze di caffè o tè, mentre quella a più basso contenuto aveva 9 porzioni settimanali di frutta, 10 di verdura, due di legumi e nove tazze di tè o caffè; l’intermedia aveva valori compresi tra l’una e l’altra.
E come riferisce Neurology, ripreso da il fattoalimentare.it, in seguito a un follow-up medio di tre anni per tutti i partecipanti è emerso che chi era tra i minori consumatori di alimenti antinfiammatori aveva un rischio triplicato di incappare in deficit cognitivi o demenza.
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Una parte dello studio riguardava neonati e bambini, e mostra un altro aspetto importante: le sostanze aggiunte al latte artificiale non hanno effetti misurabili sullo sviluppo intellettivo dei più piccoli, come si può verificare ad anni di distanza, in base alle prestazioni scolastiche. In questo caso, "i ricercatori dello University College London hanno preso in esame sette studi condotti in cinque ospedali inglesi tra il 1993 e il 2001, che avevano avuto come oggetto la somministrazione di formule per neonati con aggiunte specificamente studiate per il cervello a oltre 1.700 neonati e bambini, a base di acidi grassi polinsaturi a catena lunga o LCPUFA (in due casi), di ferro (uno studio), di macronutrienti (due) e di acido palmitico o nucleotidi (due)", conclude ilfattoalimentare.it.