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Sdolcinati e patetici ma afrodisiaci. Così nomignoli e vezzeggiativi fanno bene alla coppia

Daniela Mastromattei
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Lo scambio di idee da nobile arte filosofica sembra essere finito in una trappola dai miseri contenuti. Tutti si sentono attaccati e si offendono diventando aggressivi per ogni cosa, convinti che sia il modo migliore per dimostrare di aver ragione. Non si accettano le domande figuriamoci le critiche, un tempo sante e benedette, nonché percepite come costruttivi confronti. Oggi le regole le detta il popolo degli arroganti (la cui mamma è sempre incinta), convinto di poter "vincere" solo alzando la voce e non perché abbia delle buone argomentazioni. Anzi. Se le avesse riuscirebbe ad esternarle con il garbo di chi affonda le radici nel rispetto per gli altri. Accade purtroppo nella vita sociale e all'interno delle coppie: quante ne saltano dopo discussioni infinite, negoziazioni estenuanti, scontri infuocati, ripicche e sfiducia reciproca. L'amore non basta, per cementare un rapporto c'è bisogno di tanto altro: dall'abilità di lasciare fuori dalla porta recriminazioni e sfoghi meschini alla capacità di stabilire una connessione emotiva per restare insieme «in ricchezza e povertà», come recita il sacerdote sull'altare. Ma nulla crea tanto affiatamento nella coppia quanto il linguaggio della dolcezza che riporta all'amore puro e disinteressato della mamma, fatto di espressioni affettuose, quali tesorino, ciccio, piccolo, orsetto, cucciolotto, pulcino, ecc. Sono loro, questi teneri nomignoli che arrivano dall'infanzia, che legano affettivamente e per sempre genitori e figli, a rendere la relazione più intensa e solida.

 

 

PIACERE E BENESSERE
«Vezzeggiativi che nei bambini liberano dopamina e serotonina, neurotrasmettitori del benessere e del sentirsi amati. Sensazioni che tornano a manifestarsi allo stesso modo in età adulta, quando si è innamorati e corrisposti, e il partner si rivolge all'altro con un adorabile nomignolo». Una delle prime a crederci è stata la psicolinguista e professoressa di psicologia all'Università di Boston, Jean Berko Gleason, che sul tema ha condotto anni di studi con il suo gruppo di lavoro, arrivando a delle interessanti conclusioni: «Le basi emozionali che si percepiscono nei confronti del proprio compagno possono essere le stesse provate da piccoli verso i propri genitori se il linguaggio riporta alla mente quelle dinamiche indiscutibili di grande intimità e affettuosa complicità». Come dire, se lui ti ama deve chiamarti teneramente rosellina o patatina... Patetico? Eppure c'è chi non si vergogna di raccontarlo in pubblico. Come ha dimostrato la confessione tra due grandi mattatori sul palco di Sanremo. «Mia moglie mi chiama "amorino", che è il dio Amore. E tua moglie?», chiede Fiorello. «Patato», risponde appena un po' imbarazzato Amadeus. Fiorello non si fa sfuggire l'occasione per prendere in giro il direttore artistico del Festival: «Pat, patato, tubero...». E i social ringraziano. Ma anche gli inglesi non scherzano: sembra che Kate si rivolga al principe William con i nomignoli «babe» e «poppet» (fungo). Mentre lui sussurra in privato alla futura regina consorte «babykins» (simile a piccola bimba). Del resto, i Windsor amano da sempre affibbiarsi simpatici vezzeggiativi. Come non comprenderli: la rigida etichetta obbliga di rivolgersi ai membri della famiglia reale con il loro nome di battesimo completo (vietati i diminutivi), per questo aspettano l'intimità per sbizzarrirsi. A cominciare da Sua Maestà, la figlia di Giorgio VI, che permette al marito Filippo di essere chimata «cabbage» (cavolo) o «sausage» (salsiccia). Humor... british. Leggenda narra che Diana, alla vigilia delle nozze con Carlo d'Inghilterra, trovò una coppia di gemelli, regalo dell'ex amante di lui, Camilla (oggi duchessa di Cornovaglia). Sui gioielli c'erano incise le lettere «G» e «F», iniziali di «Gladys» e «Fred», i soprannomi che Carlo e Camilla usavano durante le loro fughe appassionate. Quella scoperta provocò una crisi isterica in Lady D. Che però non le impedì di andare all'altare con il principe. I beniformati giurano che dopo quasi 40 anni gli ex amanti usano in privato ancora gli stessi nickname.

 

 

VINCE LO ZOO
Anche i duchi di Sussex Harry e Meghan hanno i loro nomignoli: se l'ex attrice americana è stata ribattezzata «tungsten», perché più dura del ferro per la sua caparbietà, il rosso Harry dalla sua dolce (si fa per dire) metà viene chiamato «Potter», come Harry Potter. Secondo uno studio realizzato qualche tempo fa da Superdrug Online Doctor, le coppie che utilizzano i nomi degli animali domestici (e non), sono più felici. Quindi, per deliziare l'innamorato meglio attirarlo a sé con «topolino», «micia», «papero», invece di uno sdolcinato «tesoro», assai «meno personalizzato», sostengono i ricercatori. Questo non vuole dire che si debba vivere in un mondo fantastico lontano dalla realtà. «La comunicazione è un indicatore molto significativo dell'intimità di coppia e quindi del livello di complicità tra due persone», spiega a Libero la psicoterapeuta Anna D'Ecclesiis, esperta di psicologia della comunicazione. «In particolare, oltre al modo di comunicare del tipo adulto-adulto, più pragmatico e organizzativo, che non deve mancare, sono preziosi altri modi che rispecchiano metaforicamente le modalità "infantili", basate sulla spontaneità e l'affetto, poiché i bambini comunicano con le emozioni. E dunque complicità, segreti intimi fatti anche di vezzeggiativi mantenuti nella sfera privata, sono un collante all'interno della coppia, da renderla più forte, meno soggetta a crisi. E in grado di superare ogni difficoltà». 

 

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