Coronavirus, Melania Rizzoli spiega come ci uccide: polmoni rimpiccioliti e deformati, poi la morte
Le autopsie sono un infallibile metodo per confermare in un paziente deceduto la causa di morte, oppure per diagnosticarla, quando non si è riusciti per vari motivi ad individuarla, capirla od accertarla. Ed i molti misteri del Covid iniziano ad essere rivelati proprio grazie agli esami autoptici eseguiti su centinaia di pazienti morti a causa della malattia, i quali hanno evidenziato quadri clinici mai osservati prima in nessuna patologia al mondo, che spiegano come il Virus riesca in pochi giorni a spegnere vite che fino a poco tempo prima conducevano bene o male la propria esistenza, ed a chiarire quali sono i meccanismi responsabili delle difficoltà che hanno moltissimi soggetti considerati "guariti" a tornare ad una normalità "respiratoria" e che permangono in affanno perché di fatto restano affetti da quella che viene chiamata "Sindrome del Covid lungo".
Uno studio del King' s College London, eseguiti in parallelo con l'Università di Trieste e pubblicato su Lancet eBio Medicine ha portato alla luce lo spaventoso danno respiratorio di fronte al quale si sono trovati i medici Anatomopatologi mentre esaminavano sconcertati quel che era rimasto dei polmoni dei cadaveri in esame, i quali si mostravano ridotti e rimpiccioliti, non più morbidi e spugnosi, ma irrigiditi da lesioni molto estese e profonde, con una vera e propria sostituzione del tessuto respiratorio polmonare con tessuto cicatriziale e fibroso che li deformava, un danno patologico gravissimo devastante e con caratteristiche mai viste prima.
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Infezioni virali
Nel 90% delle salme esaminate inoltre, è stata riscontrata una vasta presenza di trombi nelle grandi e piccole arterie e vene polmonari, causati dalla anomala attivazione del sistema della coagulazione del sangue favorita dall'infezione virale, ovvero piccole e medie tromboembolie polmonari che, tappando i vasi sanguigni ed interrompendone il flusso, compromettevano ulteriormente la possibilità dello scambio di ossigeno negli alveoli, come avevano rivelato gli indicatori dei saturimetri digitali in vita. Un ulteriore reperto, anche questo inedito e sorprendente, è stata la presenza nel tessuto polmonare di una serie di cellule anormali, molto grandi e con molti nuclei, mai osservate prima in nessun tessuto vivente, che derivavano dall'azione della proteina Spike del Covid (quella che conferisce al virus la caratteristica forma a corona) di stimolare le cellule infettate ad inglobare e fondersi con quelle sane vicine in un'unica mostruosa cellula gigante plurinucleata, come una sorta di metastasi infettiva ed invasiva senza scampo, cosa che spiega il perché del ritrovamento di tali cellule anormali nell'escreato dei pazienti affetti dalla "Sindrome del Covid lungo" anche dopo 30-40 giorni dal ricovero in ospedale.
Inoltre i pazienti deceduti per l'infezione virale mostravano quasi tutti una miocardite, una infiammazione ed ingrossamento del cuore con microtrombosi dei suoi vasi, le quali giustificavano e chiarivano l'alta incidenza delle aritmie maligne osservate durante la degenza agonica dei soggetti nelle terapie intensive. Ma in pratica cosa vuol dire clinicamente tutto questo? I reperti descritti sono la dimostrazione istologica che il virus, in chi ha sviluppato la polmonite, persiste attivo per tempi molto lunghi dopo la fase iniziale dell'infezione, e la persistenza di queste cellule fuse, che in medicina si chiamano "sincizi", ovvero cellule infettate dal virus che inghiottono le cellule sane vicine per trasmettere loro l'infezione, indicano che il Covid-19 non è soltanto una malattia causata dalla morte delle cellule colpite dal Virus, come per le altre polmoniti, ma anche dalla lunga vita che hanno queste cellule anormali infettate nei polmoni, che riescono a distruggerne il tessuto, in pratica a corroderlo e mangiarlo vivo, determinando poi, quando in loco termina l'ossigeno, quegli esiti di cicatrici e fibrosi suddescritti nei polmoni e le manifestazioni aritmiche del cuore che compaiono anche a distanza durante la convalescenza.
Studi sulle autopsie
I dati riportati dallo studio scientifico si riferiscono a circa 600 autopsie effettuate dagli specialisti anatomopatologi, che hanno operato a rischio della propria incolumità, essendo stato dimostrato che anche dopo alcune ore dal decesso l'esame del tampone naso-faringeo eseguito sulle salme risultava ancora positivo, un segnale sinistro di prolungata vitalità post-mortem del Covid19, cosa che ha costretto le istituzioni sanitarie di ogni Paese ad ordinare la cremazione della maggioranza delle vittime entro 48h dalla morte. A seguito di questa ricerca la sfida al King' s College di Londra è comunque già partita, per individuare una nuova classe di farmaci in grado di impedire la formazione dei sincizi indotti dalle proteine Spike, per stimolare quindi l'eliminazione fisica del virus e bloccare la complicanza delle sue trombosi, prima che si sviluppi la sua ormai nota azione letale.