Coronavirus, dubbi sul numero di positivi: "Sottostimati di oltre il 10%". Il ruolo dei campionamenti sbagliati
Ci sono dei numeri sul coronavirus che dall'inizio della pandemia dividono gli esperti ma anche gli italiani che ogni giorno non riescono a quantificare la reale misura del contagio. Stando ai dati del ministero della Salute, come riporta Il Messaggero, nel periodo 25 maggio-15 luglio l'epidemia sarebbe circoscritta ad un milione e 482 casi. Tuttavia secondo gli esperti siamo di fronte ad un numero di contagio di gran lunga superiore.
Per quale motivo? Si tratta della modalità con cui si cercano gli antigenici a cominciare dai falsi negativi. "E' possibile che a distanza di tempo - precisa Fabrizio Pregliasco, virologo e ricercatore di igiene dell'Università degli Studi di Milano - anche nelle casistiche che ho seguito, ci sia una perdita della positività del test. Molto spesso, poi, non tutti sviluppano gli anticorpi". Non solo, secondo Pregliasco bisogna anche considerare che molti non fanno i tamponi per paura di dover restare in quarantena.
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Terzo fattore da considerare: il tempo. "Se l'indagine venisse fatta in un momento diverso, è chiaro che verosimilmente potremmo trovare un numero maggiore di persone esposte al contagio", mette in guardia Claudio Mastroianni, direttore della clinica malattie infettive del Policlinico Umberto I di Roma e vice presidente della Simit (Società italiana di malattie infettive e tropicali). "L'indagine", spiega, "andrebbe fatta sicuramente in comunità più ristrette in cui c'è stato un alto numero di persone contagiate, e questo ci potrebbe dare indicazioni importanti. Sarebbe utile insomma che venisse ripianificata periodicamente".
Quarto fattore, la platea di coloro che vengono sottoposti a tampone: pochi e reticenti. "Purtroppo, per la sieroprevalenza il problema dei dati ottenuti è legato al fatto che il campione non è stato raggiunto. Quindi una possibile sottostima ci può essere", osserva Maurizio Sanguinetti, direttore del dipartimento di Scienze di Laboratorio e infettivologiche della Fondazione Policlinico Gemelli di Roma.
"Il campionamento iniziale stratificato per età, sesso, regione e stato sociale piuttosto che professione - ricorda Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe - prevedeva 150mila persone stratificate, ciascuna rappresentativa di uno strato, ma siccome in quel periodo c'era il problema che a chi era positivo non veniva offerto il tampone, solo circa metà della popolazione ha accettato di partecipare. È evidente che oggi, tenendo conto del fatto che il contagio sta aumentando, è verosimile che il numero delle persone immunizzate sia nettamente più elevato rispetto a quello che ha documentato l'indagine 4 mesi fa".
Secondo gli esperti la sottostima si aggira tra il 10 e il 20%. Secondo Mauro Pistello, ordinario di Microbiologia e Microbiologia clinica all'università di Pisa e vicepresidente della Società italiana di Microbiologia, le principali cause per cui i dati ufficiali sono sottostimati "dipendono dal fatto che ci sono soggetti che hanno sviluppato un'infezione molto blanda, quindi non hanno avuto sintomi: abbiamo dimostrato però che il virus c'è, è stata accertata infezione, ma non hanno sviluppato anticorpi. C'è poi una quota più importante di casi che hanno sviluppato anticorpi per esempio a due settimane dall'infezione, ma che poi ritestati a distanza di due tre mesi non hanno più anticorpi. E' chiaro dunque che nel totale dei dati ufficiali tutte queste persone non sono state conteggiate", conclude.