Acqua delle sorgenti alpine? Sconcertante: "Cosa c'è dentro, cosa beviamo". Disgusto senza precedenti
"Chiare, fresche e dolci acque", scriveva Petrarca nel Canzoniere, peccato non siano quelle destinate ormai a noi. Nemmeno quelle delle sorgenti di montagna sono immuni dall'inquinamento. Lo rivela uno studio finanziato dalla Regione Valle d'Aosta (ralizzata dallo European research institute in collaborazione con l'Università di Milano) e riportato sulle pagine del quotidiano La Stampa. Secondo i ricercatori ogni anno, solo sull'arco alpino valdostano, cadano 200 milioni di generiche particelle di cui 80 milioni sono frammenti di microplastiche. Il che vuol dire 25 chilogrammi di materiale riversato a pioggia su una delle zone più incontaminate d'Italia e d'Europa. "Abbiamo fatto i prelievi in un periodo in cui la neve residua era poca, il nostro timore è questa cifra sia addirittura sottostimata - spiega Roberto Cavallo che insieme alla cooperativa Erica ha ideato e curato la ricerca -. Dobbiamo pensare di vivere in uno smog di plastica. Ci circonda, si degrada e adesso sappiamo anche che si muove".
Non è la prima volta che la plastica arriva in alta quota, tracce di frammenti erano già state trovate anche sulle Alpi nei pressi dello Stelvio, in Svizzera, e più recentemente perfino nelle remotissime isole Svalbard e in Antartide. Stando all'analisi che ha studiato la neve cumulata nella stagione invernale 2018/2019 la microplastica, fino a 5 millimetri di diametro, arriva dal cielo proprio con le preciptiazioni.
Dagli otto litri di materiale prelevato in quattro siti diversi sono emerse 40 particelle e la metà di queste è risultata plastica. Ci sono diversi tipi di polimero. Il più presente è il polietilene (39%) che probabilmente deriva da sacchi e sacchetti in film. Poi vengono Pet (17%), Hdpe (17%), poliestere (11%), Ldpe (6%), polipropilene (5%) e poliuretano (5%). Più difficile stabilire l'origine e il viaggio di questi pezzetti inquinanti anche se la loro origine non è un mistero. Praticamente materiali presenti nei capi di abbigliamento sintetico, imballaggi, confezioni, residui di cosmetici, dentifrici o creme solari. "Il problema delle microplastiche è ben più vasto di quanto possiamo immaginare e non può che destare preoccupazione" conclude Cavallo. In particolare i timori sono legati ai rischi che queste particelle disperse nell'ambiente potrebbero avere sulla salute dell'uomo. È certo che ormai fanno parte della catena alimentare.
Se poi si passa all'acqua in bottiglia le cose non vanno meglio stando ad un studio della State University di New York nelle bottigliette che siamo soliti usare ci sono frammenti fino al 90%. Dati confermati dall'Università di Edimburgo che stima che ogni pasto una persona ingerisce almeno 100 di queste particelle, lo dimostrano oltretutto anche le indagini dell'Arizzona State university, che hanno ritrovato plastica negli organi di alcuni pazienti deceduti.