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Vendetta, come nasce il desiderio primordiale e perché per noi è pericolosissimo

Melania Rizzoli
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La vendetta è un sentimento primordiale esclusivamente umano, radicato nell'animo da un punto di vista biologico, psicologico e culturale, la cui caratteristica è quella di essere istintiva e non razionale, spesso sproporzionata tra il danno subìto e quello arrecato. Quando si subisce un'offesa o un'ingiustizia si provano immediatamente emozioni negative di rabbia, risentimento e disappunto, ed il comportamento più frequentemente messo in atto è quello di vendicarsi per il torto, azione che, contrariamente a quanto si possa pensare, non allevia il dolore provato, perché la vittima resta focalizzata sull'evento negativo accaduto, pensando e ripensando come farla pagare cara al suo trasgressore. 

Il pensiero vendicativo, a differenza di quello della ritorsione, che invece si distingue per essere una reazione di rivalsa immediata senza ruminazione mentale, ha radici più profonde, ed è tipico delle persone che non riescono ad elaborare l'ostilità che li governa e li caratterizza caratterialmente, ed il soggetto vendicativo nasconde un danno sofferto dal suo Io, che costituisce la base di tutte le altre offese delle quali si lamenta regolarmente. Il desiderio di vendetta, il cui fine conscio è il castigo o la punizione, è finalizzato idealmente alla rimozione del rancore per la perdita subìta, nell'illusione di raggiungere uno stato di soddisfazione che ovviamente non arriverà con il compimento dell'azione ritorsiva, la quale innesca un circuito vizioso ed inconcludente, che non riesce a lenire il dolore, per sua natura non quantificabile. Inoltre, come in altre situazioni e stati d'animo di emozione intensa, la possibilità che una modificazione delle condizioni ambientali porti ad una diminuzione della tensione emotiva è minima, perché il soggetto vendicativo tende a selezionare, per poi scartarli, tutti gli stimoli esterni che contraddicono il suo stato emotivo. 

 

TEMPESTA EMOTIVA
Restituire un torto subìto è un impulso istintivo che il nostro sistema psicologico ci suggerisce in modo automatico e totalmente irriflessivo, ma la vendetta non rappresenta mai la soluzione migliore, poiché la tempesta emotiva che essa provoca, alimentando risentimento e rabbia, aumenta e cronicizza livelli di stress che possono mettere in pericolo addirittura la salute fisica. In realtà nella maggioranza dei casi la vendicatività rappresenta un tratto distintivo del temperamento e dell'affettività di alcune persone gravemente problematiche, psicologicamente instabili, caratterizzate da disturbi della personalità, nelle quali la vendetta rappresenta una delle modalità mediante le quali il soggetto cerca, in modo disfunzionale, di ripristinare il proprio equilibrio psicologico già precario, dilatando una realtà interpretata come persecutoria, spesso ingiustificata rispetto al torto subìto o presunto tale. Le personalità narcisistiche per esempio, estremamente vulnerabili sul piano dell'autostima e del valore di sé, percepiscono qualunque atteggiamento che vada a disconfermare la propria presunta grandiosità come una grave offesa, cosa che alimenta intenti punitivi al fine di ripristinare la sensazione della propria superiorità. Le personalità paranoidi invece, purtroppo le più frequenti, sono propense a cogliere intenti malevoli in ogni comportamento altrui, e quanto più un torto subìto viene interpretato dalla vittima come una grave lesione al proprio senso di identità e sicurezza psicologica, tanto più è probabile che la stessa agisca con atteggiamenti vendicativi, ristrutturando cognitivamente l'evento giudicato negativo, distanziandosene emotivamente, ed empatizzandolo con le motivazioni che lo hanno reso possibile. 

Molte persone sono più propense di altre alla vendetta, e chi ha una struttura nevrotica della personalità, chi ha un nucleo paranoideo con scarso controllo degli impulsi, come coloro che credono che tutto il mondo trami alle loro spalle, hanno una predisposizione innata alla ruminazione di tipo ossessivo, e l'unico balsamo lenitivo è dato dalla programmazione e dalla concretizzazione del pensiero vendicativo, anche a prescindere dai "costi" dell'operazione e dalle sue conseguenze. A vendetta realizzata infatti, dopo un primo momento di soddisfazione, il benessere tende a scemare molto rapidamente, poiché essa non riesce quasi mai ad equiparare i conti, crea delle ferite profonde o lascia detriti ingombranti in una spirale inarrestabile che non arriva mai a riparare il danno sofferto. Il percorso mentale capace di far tacere il risentimento, la rabbia, il desiderio punitivo della persona che ha perpetrato la presunta offesa riguarda un complesso processo di elaborazione distintivo delle personalità mentalmente sane, ovvero esenti da depressione, ansie, ideazioni paranoidi, psicoticismo, senso di inferiorità o di inadeguatezza, le quali non elaborano quasi mai processi di vendetta, poiché non soffrono di ostilità liberamente fluttuante o pervasiva, quella che si attiva invece nelle personalità disturbate, che non attuano modalità adattative nemmeno in reazione a stimoli banali, poiché si sentono moralmente lese parallelamente alla loro sensazione di infelicità. 

 

VULNERABILITÀ
Il circolo vizioso della ruminazione ossessiva e rabbiosa impedisce l'accettazione della propria vulnerabilità, la consapevolezza di essere imperfetti e che nella vita si possono commettere errori, ed i soggetti vendicativi, dalla scienza considerati sempre patologici, sono privi di autocritica, della capacità di perdonare, hanno frequenti disturbi dell'umore e della qualità del sonno, che incolpano di incidere negativamente sul loro comportamento diurno, di socialità e valutazione cognitiva con le persone con le quali si relazionano. Le persone vendicative sono personalità perfezioniste prive della capacità di accettare le proprie imperfezioni, e presentano sovente forme maladattive profonde (autovalutazione di sé negativa) mentre amano apparire esteriormente come scrupolose e coscienziose, motivate a raggiungere successi ai quali aspirano autonomamente, vantandosi di essere prive di sostegno da parte di altre persone, cosa che in realtà avviene regolarmente a causa della loro alienazione sociale che emerge dal loro disadattato comportamento emotivo, cognitivo e relazionale. L'intento della vendetta è quello di far provare la stessa sensazione a colui o colei che ha provocato la sofferenza, per ripagare con la stessa moneta, e far capire di non volere più alcun rapporto con la persona colpevole alla quale si attribuisce l'intenzionalitá del male, soprattutto se quella persona è stata positiva nella loro vita, cosa che acuisce ulteriormente la sofferenza psicologica che non verrà affatto ripagata. 

Infatti la vendetta si attua verso le persone alle quali si è tenuto, che si sono amate, apprezzate o ammirate, e dalle quali si ritiene aver subìto un'offesa ingiusta ed insopportabile, e dalle quali non si riesce a prendere le distanze emotive necessarie, perché in qualche modo si è dipendenti o si dipende ancora da loro. Mentre il sentimento di rabbia può contenere potenziali positivi e correttivi, la vendicatività é totalmente e inutilmente distruttiva, è un'avversione anche contro se stessi che elimina i confini del pensiero razionale, facilitando l'insorgenza di condizioni emotive patologiche incontrollabili, che nascondono profondi traumi narcisistici. E soprattutto il soggetto vendicativo non "rinuncia" veramente alla persona che vuole castigare, poiché effettuando la punizione continua a tenersi psicologicamente "aggrappata" ad essa, senza elaborare l'ostilità che protende a portarsi dentro, logorando il proprio stato psico-fisico, che nasconde un passato sofferto del proprio Io. La vendetta dunque non aiuta a star meglio, non porta ad un effettivo risarcimento del torto subìto e non cancella il dolore provato nell'ingiustizia, per cui non raggiunge l'agognato sollievo, ma rischia, essendo nata da un'esperienza di fallimento, di far precipitare il soggetto vendicativo in un conflitto emotivo e sentimentale, in uno stato di forte malumore preda di passioni negative, la cui aggressività, prima rivolta verso la persona da castigare, può trasformarsi in una reale azione punitiva verso se stessi. 

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