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La ricerca italiana ha un obiettivo:‘spegnere’ la malattiadi Parkinson

Un team di ricercatori sarebbe riuscito a contrastare il processo neurodegenerativo alla base della malattia grazie a delle molecole prodotte dal nostro organismo per riparare i danni provocati da infiammazioni: le resolvine
di Maria Rita Montebelli domenica 8 settembre 2019

2' di lettura

Da tempo la ricerca sta puntando i riflettori sui possibili rapporti tra stati infiammatori e malattie neurodegenerative. Uno studio recentemente pubblicato su ‘Nature communications’ sembrerebbe dimostrare che si tratta della strada giusta: i ricercatori dell’università di Roma Tor Vergata, fondazione Santa Lucia Irccs e università campus Bio-Medico di Roma, sarebbero riusciti a contrastare il processo neurodegenerativo alla base della malattia di Parkinson grazie a delle molecole prodotte dal nostro organismo per riparare i danni provocati da infiammazioni, le resolvine. “Il nostro lavoro – spiega Nicola Mercuri, ordinario di neurologia dell’università di Roma Tor Vergata, responsabile della linea di ricerca di neuroscienze sperimentali dell’Irccs Santa Lucia e coordinatore dello studio – ci ha permesso di dimostrare che la proteina alfa sinucleina, nota per il ruolo chiave nello sviluppo della malattia di Parkinson, causa molto precocemente un cattivo funzionamento dei neuroni dopaminergici. Le conseguenze sono disturbi motori e cognitivi, ma anche un’aumentata neuroinfiammazione associata a ridotti livelli di una particolare resolvina, la resolvinad1 che abbiamo osservato nel sangue e nel liquor cefalorachidiano di pazienti affetti da Parkinson, in cura presso il policlinico di Tor Vergata”. Partendo da questa osservazione, i ricercatori hanno somministrato resolvinad1 in modelli di laboratorio e dopo due mesi di trattamento hanno potuto osservare una progressiva riduzione dello stato infiammatorio e del processo degenerativo che nella malattia di Parkinson provoca la nota distruzione dei neuroni deputati alla produzione di dopamina. Con essi si sono ridotti anche i sintomi motori e comportamentali caratteristici della malattia. “Ad oggi la diagnosi di malattia di Parkinson avviene tardivamente, quando più della metà dei neuroni dopaminergici è già andata distrutta e non abbiamo terapie per rigenerarli  – sottolinea Marcello D’Amelio, ordinario di fisiologia umana del Campus Bio-Medico di Roma e responsabile del laboratorio di neuroscienze molecolari dell’Irccs Santa Lucia – Essere riusciti a intervenire in laboratorio su un processo infiammatorio collegato a questa neurodegenerazione prima che i neuroni dopaminergici siano andati persi per sempre, fa ben sperare per future sperimentazioni cliniche in grado di rallentare o auspicabilmente arrestare lo sviluppo della malattia”. I risultati dello studio offrono nuovi spunti non solo per l’individuazione di terapie efficaci ma anche nell’anticipazione dei tempi di diagnosi della malattia. “È ragionevole ipotizzare che la presenza ridotta di Resolvine in pazienti affetti da Parkinson possa in futuro servire anche come marcatore precoce della malattia” spiega Valerio Chiurchiù, ricercatore del Campus Bio-Medico e dell’Irccs Santa Lucia.Lo studio ha visto anche la collaborazione dell’università Cattolica del Sacro Cuore, dell’università di Perugia, dell’università di Tubinga in Germania e dell’università di Harvard negli Stati Uniti di America. (MATILDE SCUDERI)

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