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Fibrosi polmonare idiopatica, ora c'è un supporto per i pazienti

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Fino a pochi anni fa la malattia era misconosciuta, le diagnosi poche e tardive, e l'unica speranza di arrestare questo male affidata al difficile traguardo del trapianto

Maria Rita Montebelli
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Non ci pensa mai nessuno di noi, ‘noi' che stiamo bene, ma da quando nasciamo a quando moriano… respiriamo: una volta ogni 3-4 secondi, circa 25mila volte al giorno. Per le persone affette da Fibrosi Polmonare Idiopatica (IPF), una malattia rara e progressiva del polmone, che in Italia riguarda circa 6000 – 9000 adulti, ogni respiro, invece, è una conquista. Da qualche giorno, e questa è una buona notizia per i pazienti, arriva un farmaco a base di pirfenidone, il primo approvato in grado di rallentarne la progressione se preso in fase lieve o moderata della malattia. Oltre a questo nuovo farmaco orale hanno preso l'avvio due importanti progetti: il Programma PerFect, che garantisce ai pazienti, grazie alla telemedicina, la consulenza degli specialisti più esperti, e il programma di assistenza domiciliare IPF CARE. Due progetti sostenuti da InterMune che, insieme alle molte iniziative organizzate dalle associazioni di riferimento, mettono il paziente e la sua famiglia al centro di un approccio globale: un respiro collettivo che nasce e cresce per sostenere chi costantemente vive con la ‘fame d'aria'. Qualunque sia la loro situazione specifica è necessario che i pazienti affetti da Fibrosi Polmonare Idiopatica possano trovare una rete in grado di sostenerli dal momento della diagnosi e nel prosieguo della battaglia con questa malattia. “Le reazioni alla diagnosi sono le più varie – ha spiegato il prof. Venerino Poletti, Direttore U.O. Pneumologia Ospedale G.B. Morgagni - L. Pierantoni, nerl corso della conferenza stampa di presentazione - ognuno è diverso, e questo vale per chiunque ha una malattia, ma in questo caso dipende anche da quale prospettiva si ha: terapia, trapianto o solo cure palliative. Anche il fatto di avere una forma sporadica o familiare fa differenza. Nella forma familiare alla preoccupazione per se stesso si aggiunge quella che un figlio possa ammalarsi. Sono pazienti diversi dagli altri perché hanno già visto e vissuto la malattia da vicino”. La diagnosi è certamente il primo fondamentale passo perché il paziente possa cominciare un percorso terapeutico adeguato, soprattutto ora che è disponibile un farmaco utilizzabile se preso prima che il danno sia troppo grave. “Per una diagnosi corretta – ha spiegato il prof. Carlo Vancheri Professore Ordinario di Malattie Respiratorie dell'Università di Catania – il ‘gold standard' è rappresentato dalla  possibilità di mettere attorno a un tavolo il clinico capace di riconoscere i sintomi del paziente, un radiologo capace di interpretare i segni sulla TAC – e non sono molti quelli capaci di farlo - ed un patologo che sappia leggere  il materiale bioptico. Sviluppare queste competenze non è facile e richiede anni. Questo spiega perché oggi siano pochi i centri che hanno tutte queste competenze insieme. Il Progetto Perfect, che ora parte a livello sperimentale coinvolgendo circa una cinquantina di centri prevede un'attività di “ consulenza” che avviene per via telematica, prevede la costituzione di una rete tra centri Esperti e non, in questo senso possiamo pensarlo come un progetto di telemedicina. Ai medici dei centri territoriali basterà  inviare le immagini radiologiche  o le foto dei preparati istologici via web,  avendo la certezza che dall'altra parte i colleghi li esamineranno in tempi brevi mandando loro delle risposte.  Il paziente ha il vantaggio di non doversi muovere né cambiare il centro a cui fa riferimento, i medici quello di poter accrescere le proprie competenze”. Prima arriva la diagnosi, più sono le opzioni di trattamento che si possono offrire ai pazienti: e proprio per aiutarli nel momento in cui entrano in terapia, è nato il secondo progetto supportato da InterMune, l'IPF CARE, un programma di assistenza domiciliare che mette a disposizione del paziente e delle famiglie infermieri formati per affrontare le difficoltà tipiche di questa patologia. “Questo progetto prevede che lo specialista, l'infermiere e la famiglia si confrontino per creare un programma personalizzato – ha spiegato il Prof. Luca Richeldi del Dipartimento per le Malattie Rare del Polmone Università di Modena -  Questo tipo di intervento è efficace solo se costruito intorno al paziente e al suo nucleo familiare. Il ruolo dell'infermiere sarà quello di interfacciarsi con il paziente e con il medico, a cui potrà riferire tempestivamente eventuali difficoltà. Non meno importante, però, è il supporto umano che il paziente e la famiglia ricevono.  “Lavorare sulle malattie rare è una scelta, ma anche una forte responsabilità – ha detto David Ponzecchi, General Manager di InterMune – Chi sceglie questa strada sa che ci sono pazienti in attesa quotidiana di una speranza; noi abbiamo il dovere, nei limiti della correttezza normativa, di dare loro delle risposte, il prima possibile. Nel nostro caso questo ha significato, nel periodo tra la registrazione di  Esbriet ®(pirfenidone) da parte dell'Agenzia Europea (EMA) e quella dell'Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), fornire gratuitamente per oltre un anno la terapia a molti pazienti a totale nostro carico secondo una specifica tipologia di uso compassionevole, il Named Patient Program”. (A. S.)

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