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Pronto Soccorso, i romani? Malati ma non troppo. Ecco tutti i dati

Nella maggioranza dei casi chi si reca al pronto soccorso potrebbe essere curato dal medico di famiglia

Roma Redazione
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I romani che vanno all'ospedale nella stragrande maggioranza dei casi sono malati, ma non troppo. Forse ipocondriaci, ma non in pericolo di vita. Questo è il quadro emerso dall'indagine conoscitiva sul trasporto degli infermi e sulle reti di emergenza urgenza elaborato dalla Commissione igiene e sanità del Senato. Una rilevazione non statistica ma di autovalutazione a cui hanno risposto tutte le strutture ospedaliere  della Capitale. Bianco e Verde A Roma è  boom di codici bianchi e verdi che, tradotto in linguaggio comune, vuol dire una lieve febbre o a una lombalgia (codice bianco); piuttosto che  una febbre di 38° o una colica addominale (codice verde). Niente pericolo di vita dunque: casi risolvibili anche dal medico di base. E se i pazienti, nella stragrande maggioranza dei casi non rischiano alcunché, il recarsi all'ospedale ogni qualvolta si stia poco bene costa caro alla sanità pubblica in termini di efficienza. Al Policlinico Umberto I, per esempio, quasi nove casi su dieci riguardano un codice bianco o verde (per l'esattezza 8,7 su 10). Al Sandro Pertini, sempre in zona Tiburtino-Bologna, le cose non vanno meglio: qui la media è di 8,62 pazienti ogni 10. La medaglia di bronzo va invece ai cittadini che scelgono il San Camillo Forlanini: nell'82,52% dei casi non c'è alcun pericolo di vita. Viceversa i più virtuosi in tal senso sono il San Filippo Neri 6,7 pazienti su 10), il Fatebenefratelli (7,1) e l'ospedale Grassi (7,5). In corsia «Spesso», spiega una infermiera del Policlinico Umberto I che preferisce rimanere nell'anonimato, «l'ansia gioca un ruolo determinante nella scelta dei cittadini di venire in ospedale. E si sa che quando la paura prende il sopravvento il cervello inizia ad offuscarsi». «Il fatto», rivela mostrando una sorta di senso di impotenza, «è che a volte mi sento in colpa a veder aspettare per ore e ore persone che, seppur in codice verde, non si sentono per niente bene».   E se i pazienti  che arrivano in codice verde lo fanno perché i sintomi potrebbero essere indice di qualcosa di più grave, quelli che si recano in ospedale per un nonnulla non sono molto amati dal personale ospedaliero. Anche in questo caso il primo posto spetta di diritto al Policlinico Umberto I che tratta, quotidianamente, 16 casi su 100 di questo tipo. Distaccato di due pazienti il Santo Spirito mentre al terzo posto si piazza  il Sandro Pertini (12 pazienti su 100). Record inverso, e dunque positivo, per il San Filippo Neri (3 pazienti su 100), l'azienda Ospedaliera Sant'Andrea (4,25 su 100) e l'ospedale Sant'Eugenio (4,68 su 100).   L'esperto  Mario Falconi, presidente dell'ordine dei medici, chirurghi e odontoiatri di Roma, dà una sua lettura di questo eccessivo utilizzo del pronto soccorso. «Molto banalmente», spiega, «i cittadini si recano in ospedale non perché si divertono, ma perché è l'unico posto dove ricevono una risposta completa sul loro stato di salute in  6,7 o 8 ore. È evidente che se non ho a disposizione il medico di base, tutti i giorni - sabato e domenica inclusi - dalle  8 alle 20 e la possibilità di effettuare esami diagnostici in tempi rapidi, mi prendo il mio bel libro e vado a passare una giornata in ospedale. Almeno una volta uscita sto con l'anima in pace». «Se questo è il ragionamento del cittadino che comunque vuole risolvere il suo problema», aggiunge il presidente dei medici romani, «tutto ciò costituisce un pauroso aggravio di spesa per  tutta la  collettività. È indispensabile che  la politica faccia  molto di più a livello territoriale». «Non ci vorrebbe niente», conclude Falconi, «ad organizzare ambulatori dove si fa diagnostica di base, anche di sabato. In questo modo i medici di famiglia possono dare risposte soddisfacenti per i pazienti, i pazienti possono avere una risposta immediata, e non dopo alcuni mesi, e i pronto soccorso possono realmente svolgere senza inefficienze il compito per cui sono stati istituiti». di Vito Kahlun      Tiziana Lapelosa

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