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Carlo Cracco, mossa estrema in cucina? "Potrei abolirla..."

Daniele Priori
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Carlo Cracco è custode del gusto italiano nel mondo. Lo è davanti ai fornelli e anche quando il la sua cucina stellata fa la rivoluzione copernicana e diventa una cucina sotto le stelle, nel bel mezzo di un viaggio che ha visto il grande chef internazionale percorrere mezza Italia da Roma a Brindisi, lungo tutto il percorso della via Appia. A suo dire proprio la meraviglia dell’Appia Antica è la vera scoperta che lui, anzi, definisce come l’ “innovazione” più importante della terza stagione di Dinner Club, il diario di viaggio mangereccio prodotto da Banijay Italia per Amazon MGM Studio con Christian De Sica, Emanuela Fanelli e Rocco Papaleo, gli ospiti Antonio Albanese, Corrado Guzzanti e Sabrina Ferilli, da domani su Prime Video. Lo chef per l’occasione si è concesso alle domande di Libero.

Cracco, innovazione e Appia Antica, Dinner Club 3 comincia con una contraddizione in termini?
«Percorrere tutta l’Appia insieme è stata una vera scoperta, emozionarsi per il ritorno di Rocco Papaleo nella sua terra e poi soprattutto conoscere le persone con le loro storie. Scoprire come un meccanico potesse saperne di cinema quasi più dei nostri attori professionisti. È stato tutto molto bello»

Come riesce a conciliare la sua vita tra le star con la sua luminosa carriera da chef?
«Restando semplicemente nel mio territorio. In fondo anche in questa esperienza siamo stati dietro i fornelli per ritrovarci poi a tavola».

A proposito di Roma. Aprirà un nuovo locale e i romani si chiedono come sarà la cacio e pepe di Cracco?
«Nessun dilemma. Negli ultimi tempi abbiamo sentito parlare di ricette cacio e pepe che fino a pochi anni fa sembravano inenarrabili».

Lei è stato allievo di Gualtiero Marchesi. Che ricordo ne serba?
«Un uomo dalla grande curiosità che si traduceva in una disponibilità ad assaggiare e capire il mondo, soprattutto parlando con le persone».

Nel viaggio avete conosciuto uno degli ultimi monsù (i cuochi della nobiltà del Mezzogiorno d’Italia). Che esperienza è stata?
«Ho fatto cucinare De Sica in quel contesto aristocratico. Si è trovato alle prese con una ricetta per niente facile ma lui è stato perfetto, un vero numero uno, aiutato anche dalla raffinatezza e dalla gentilezza del monsù. Ma in realtà non avevo dubbi sulle doti di Christian, visto l’ambiente in cui è cresciuto». (Sorride).

Mentre la Fanelli e Papaleo?
«A loro ho fatto fare il corso di galateo (Sorride) ma poi sono uscite fuori anche le loro doti. Emanuela è stata la vera eroina del viaggio...».

In che senso?
«Ha pescato il grongo (una specie di anguilla, ndr) in mare con le onde alte. Ci siamo ritrovati soli in acqua con una muta che pesava 5 chili. Abbiamo temuto di dover tornare indietro».

Il suo primo ristorante all’estero l’ha avuto a Mosca. Esiste ancora?
«Purtroppo no. Prima era stato sospeso per il Covid e poi dopo l’inizio della guerra in Ucraina l’abbiamo chiuso definitivamente».

La vittoria di Trump in Usa, i possibili dazi verso i prodotti Ue, influiranno anche sulle tavole degli americani?
«Sui dazi si dovrà capire. Non credo, però, che si possano modificare i gusti delle persone: è impossibile rinunciare ai nostri prodotti».

Lei ha immaginato anche una cucina di Cracco senza carne. È un’ipotesi possibile?
«Sì, perché no? Io sono molto laico in questo. Il ristorante senza carne l’abbiamo aperto a Portofino perché lì abbiamo il pesce a disposizione.
Non vedo perché devo fare la carne laddove non è di pertinenza. Quando sono sul mare mi viene molto più naturale lavorare e servire cose che vengono da lì. Ovviamente a Milano fai un po’ più fatica, però dove il territorio te lo consente penso sia giusto valorizzare le cose locali».

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