Il diktat del Pdl a Monti: o noi o la patrimoniale
Gli azzurri incontrano il candidato premier per ribadire che il programma si deve basare solo sulla lettera Ue. O il Popolo della Libertà si sfifa
Collaborazione con il premier incaricato Mario Monti, ma «nessun mandato in bianco». Attuazione del programma in linea con i punti della lettera all'Europa, ma niente patrimoniale, né misure indigeste all'elettorato di riferimento. In caso, «mani libere», è la minaccia neanche tanto velata che arriva dal Pdl. Il partito di Berlusconi tira dritto sulla linea del sì condizionato al nuovo governo e non transige: esclusi non solo i ministri, ma anche i sottosegretari politici. L'esecutivo che verrà dovrà essere composto totalmente da tecnici, dichiara il capogruppo alla Camera Fabrizio Cicchitto. Gianni Letta, che il Cav avrebbe voluto nel ruolo di vicepremier, si è sfilato pur non essendo deputato. Il suo nome, però, rimane in campo anche per bilanciare quello dell'ex premier socialista, Giuliano Amato, tra i papabili Monti boys a Palazzo Chigi. «Saremo costruttivi, ma niente consenso al buio». Cicchitto oggi ribadirà il concetto a Palazzo Giustiniani. La delegazione pidiellina sarà composta anche dal presidente dei senatori, Maurizio Gasparri, e dal segretario politico Angelino Alfano. Tre i paletti imposti dal Pdl. Primo: mettere in pratica i 39 punti della lettera Ue, evitando misure ostili al popolo pidiellino come la patrimoniale, chiesta invece a gran voce dalla Cgil. Secondo: la durata del mandato, che deve restare in carica per l'attuazione del programma. Terzo: la composizione tecnica della squadra. Al termine ufficio di presidenza del partito per fare il punto. Già ieri a Palazzo Grazioli si sono riuniti Berlusconi, Alfano, Letta e l'ex titolare della Funzione Pubblica Renato Brunetta. L'ordine di scuderia è soprattutto di compattare i ranghi per scongiurare fughe al centro. I numeri contano e, se al Senato non ci sono problemi, alla Camera bisogna ricostruire un consenso pieno. Preservare il rapporto con la Lega, alleato storico, evitare l'emorragia verso l'Udc. «Il momento è delicato e siamo a metà», è il commento del segretario su Twitter. La paura di nuove defezioni verso Casini è forte. In tanti, soprattutto tra i peones del Pdl, sono tentati di lasciare per mancanza di prospettive e candidature sicure alle prossime elezioni. Senza contare che il partito si presenta in ordine sparso davanti alla prospettiva di un governo guidato dall'ex commissario europeo. Le tensioni tra ex An ed ex Fi sembrano superate ufficialmente. Ma sarà vero? Franco Frattini e Ignazio La Russa giurano che tra loro è tutto ok: «Ci siamo fatti una grande risata». Frattini aggiunge: «Dobbiamo tutti sostenere Monti con forza. Berlusconi è determinato a rafforzare il partito». Sacconi insiste sul fatto del «nostro senso di responsabilità». Ma il ministro Dc Rotondi minaccia di non dare il proprio voto a Monti, anche se il vicecapogruppo, Massimo Corsaro, non dà troppo peso: «Normale dialettica. Anch'io avrei preferito le elezioni, ma abbiamo fatto delle scelte di generosità». Il senatore Andrea Augello, taglia corto: «Il problema è che l'Italia deve fare presto, dobbiamo lavorare per avere un giusto consenso per fare approvare gli impegni che noi abbiamo preso in sede internazionale». Fondamentale sarà convincere il Carroccio a non mollare. Intanto c'è la terza gamba della maggioranza, quelli di Popolo e Territorio (ex Responsabili). Ieri sono andati a consulto da Monti. Il capogruppo Silvano Moffa, il portavoce Francesco Pionati, leader dell'Adc, Pippo Gianni, Catia Polidori e Renzo D'Anna. Assente (per sua scelta) Domenico Scilipoti, che in Aula aveva gridato al «colpo di Stato». «Siamo orientati a dare la fiducia a Monti», ha detto Pionati al termine del colloquio. «Gli abbiamo però detto che noi restiamo fortemente bipolaristi e non accetteremo che qualcuno tenti di rompere il bipolarismo con riforme nascoste dietro le esigenze dettate dall'emergenza economica». di Brunella Bolloli