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Silvio-Monti, sodalizio contro natura

Berlusconi sposa il professore con un contratto a tempo. Il vero obiettivo di Silvio? Fare un governo ombra

Andrea Tempestini
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C'è una piccola oasi di consenso, a Piazza Grazioli, dietro la residenza di Berlusconi. Ci sono gli striscioni che inneggiano al Cavaliere e una trentina di ragazzi che applaudono Silvio nel giorno delle dimissioni da presidente del Consiglio. Sono i ragazzi di Annagrazia Calabria, leader del movimento giovanile del Pdl. Erano il doppio, poco prima che arrivasse il corteo del premier. Poi la metà di loro ha percepito l'elettricità nell'aria e s'è data. A parte l'enclave azzurra, il centro di Roma è un fiume di umanità ostile. Che transuma da Palazzo Chigi a Palazzo Grazioli fino al sagrato del Quirinale urlando «dimissioni», «vattene», «mafia». E tirando monetine. Berlusconi guarda la scena dal finestrino della sua Audi blindata. È schifato. Fino a un anno fa quella gente lo rincorreva per una foto, per una stretta di mano: cos'è successo? «Ingrati», scuote la testa. Ed è la (in)degna conclusione del dì più lungo, quello che termina al Quirinale rimettendo il mandato nelle mani di Napolitano. «Che giornata di mer.a», sospira Silvio alla fine di tutto. Ma tanto, che non era aria, Berlusconi l'aveva capito a ora di pranzo. A Palazzo Chigi arriva Mario Monti, l'uomo a cui il Colle vuole affidare le sorti del Paese. Il premier dimissionario ha ancora 300 voti alla Camera e la maggioranza assoluta al Senato. Ritiene di essere in diritto di trattare le condizioni per il passaggio delle consegne. A partire dai componenti del nuovo esecutivo, finendo col programma che deve stilare l'ex commissario europeo. «La nostra proposta», Silvio siede con Gianni Letta e Angelino Alfano, «è che lei assuma la guida del governo e l'interim al ministero dell'Economia, confermando alcuni componenti dell'attuale compagine uscente». Il senatore a vita fa di no con la testa. L'idea non gli piace affatto. Ha in mente altro, un elenco di tecnici (stilato dal Quirinale) che vada a occupare sia i posti da ministro che quelli da sottosegretario. Nei piani di Monti non c'è spazio neanche per Letta. Berlusconi riparte alla carica: «Avremmo interesse che almeno Gianni rimanesse al suo posto come sottosegretario alla Presidenza». Niente da fare, il professore non accetta neanche questa seconda clausola. Il pranzo di lavoro finisce, i commensali si salutano con freddezza. Silvio è al bivio: accettare il Monti tecnico o mandare tutto all'aria. Lui è per la responsabilità, ma deve fare i conti con un partito in fibrillazione. E un alleato che è dura definire ancora tale.  Berlusconi arriva alla Camera. Un altro rito che gli dà la nausea: l'ultimo passaggio in Aula per il voto finale sulla legge di stabilità. Ha una faccia: tiratissimo come se stesse partecipando a un funerale. Il suo. S'era anche preparato un discorso da fare, poi lascia perdere: zero voglia. Piuttosto ha fretta di riguadagnare il corridoio che lo porta nel suo ufficio alla Camera. Deve vedere i leghisti per l'ultimo tentativo di persuasione. Prova a convincerli a sostenere Monti: «Varerà l'agenda europea. Vi ricordo che avete contribuito a scrivere  quei 32 punti. Vi stavano bene fino alla scorsa settimana...». Maroni e Calderoli fanno muro: «Presidente, lei pensi ai suoi elettori, che noi pensiamo ai nostri». Se non è la fine dell'alleanza, ci somiglia parecchio. Adesso il premier lascia Montecitorio e torna a Palazzo Chigi per dirigere il consiglio dei ministri: «D'accordo», suona la campanellina, «può cominciare l'ultima cena...». Durante la riunione alcuni ministri provano un ultimo, disperato tentativo di convincere Berlusconi a non dimettersi: «Presidente, per favore, resisti!». Fosse per lui, ma come si fa?  La decisione è presa. Imposta dal Colle e il Cavaliere non ha la forza (né la voglia) per lottare ancora. Addio tavolo tondo: la compagine di governo si sposta in blocco a Palazzo Grazioli per l'ufficio di presidenza del Pdl, sfidando gli insulti e gli sputi dei contestatori. Berlusconi ammette con i suoi che l'incontro con Monti è stato un pianto. Ma, per quanto l'uomo gli stia antipatico, il nuovo governo va sostenuto: «Non abbiamo alternative». Tanto, prova a tranquillizzare i ribelli, «sarà un esecutivo a termine, staccheremo la spina quando vorremo, abbiamo i  numeri per farlo». Silvio prevede il voto già nel primo semestre del 2012. «Poi se  Monti ha intenzione di fare la patrimoniale, gli faremo la guerra in Parlamento. Dobbiamo organizzarci bene, ho pensato a una sorta di governo ombra per continuare a portare avanti le nostre riforme». La discussione si accende, i vertici del partito unico si dividono sul da farsi e il tempo corre: alle 20 e 30 Berlusconi ha appuntamento al Quirinale per dimettersi, il bureau deve decidere la linea in mezz'ora. Silvio aveva chiesto a Napolitano di poter far slittare la riconsegna del mandato al mattino di oggi: «Non esiste», la secca risposta del Colle. Altro sgarbo che il premier incassa a denti stretti. Alla fine il Cavaliere ottiene dai suoi un mandato a trattare col Colle le condizioni del sì a Monti. Anzitutto i tempi: niente fretta e niente giuramento del nuovo premier se prima non ha illustrato qual è il suo programma. «Una volta appreso cosa intende fare, riuniremo l'ufficio di presidenza e decideremo se sostenere il governo. Non prima». Altra condizione: «Tutti i componenti del nuovo esecutivo, a partire da Monti, si devono impegnare a non candidarsi alle prossime elezioni». Il precedente di Dini  - che uscendo da Palazzo Chigi nel '96 fondò un partito e prese  il 4 per cento dal nulla - brucia ancora.  Infine Letta: Berlusconi insiste fino all'ultimo momento con Napolitano perché il sottosegretario rimanga a Palazzo Chigi. Lo faranno anche oggi i capigruppo del Pdl, attesi al Quirinale per le consultazioni. Tuttavia il Capo dello Stato è già stato chiaro sull'argomento: il Pd pone il veto, quindi non si può fare. Sono le dieci, la notizia delle dimissioni di Berlusconi fa il giro del mondo. Dalle finestre di Palazzo Grazioli Silvio sente i caroselli di auto che festeggiano il suo passo indietro. Fa una smorfia di dolore: «E dire che questa gente fino all'anno scorso votava per noi...». di Salvatore Dama

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