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Emma e Co.: soluzioni o dimissioni

I poteri forti escono allo scoperto: "il momento è drammatico, il governo dia risposte immediate o lasci"

Lucia Esposito
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Nel giorno in cui la parola governissimo cessa ufficialmente di essere una semplice suggestione ed entra nel novero del possibile, arriva con singolare tempistica la presa di posizione dei famosi poteri forti, banche e grandi imprese in prima linea. Arriva nella forma di una nota congiunta firmata da Confindustria, Abi, Alleanza delle Cooperative (Confcooperative, Lega cooperative, Agci), Ania e Rete Imprese Italia  (Confcommercio, Confartigianato, Cna, Casartigiani, Confesercenti). Una nota che suona come un avviso di sfratto al Cavaliere: «Il governo dia risposte immediate o lasci». Le «risposte immediate» che vengono sollecitate consistono nel «mettere in atto i provvedimenti che ci sono stati chiesti ad agosto dalla Bce e nei giorni scorsi nel comunicato finale del Consiglio Europeo». E in fretta: «Il G20 del 3 e 4 novembre di Cannes deve essere l'occasione per presentare alla comunità internazionale i risultati concreti dell'azione di governo». Qualora questo non dovesse accadere, per gli estensori della nota resta solo l'anatema: «Se ciò non avverrà il governo si assumerà una responsabilità storica nei confronti degli italiani e di tutta la comunità internazionale». Quale sia tuttavia la considerazione di Confindustria e soci circa lo stato di salute in cui versa il governo, lo si capisce nel paragrafo successivo della nota: «Il presidente del Consiglio», si legge, «verifichi se ci sono le condizioni affinché questo governo e questa maggioranza possano assumere immediatamente le misure che sono necessarie per ripristinare la fiducia nell'Italia da parte dei mercati, dell'Unione Europea e della comunità internazionale. Ne tragga altrimenti le conseguenze e lo faccia rapidamente, nell'interesse dell'Italia». Il momento, d'altronde, è drammatico: «Il nostro Paese è al centro delle turbolenze internazionali, l'attuale condizione è insostenibile». E a fronte di questo «non si possono più negare i rischi, non si può più dire che non c'è fretta, non si possono più privilegiare considerazioni di modesto cabotaggio politico rispetto all'esigenza primaria di salvare l'Italia». Non è la prima volta che, nell'ultimo periodo, le grandi sigle del mondo dell'economia fanno sentire la propria voce. Il 27 luglio scorso - con la situazione dei mercati che cominciava a farsi drammatica e lo spread che iniziava la propria vertiginosa scalata verso l'alto - era stato il turno del “manifesto per la crescita”: un appello collettivo firmato da Abi, Alleanza Cooperative italiane, Cgil, Cia, Cisl, Coldiretti, Confagricoltura, Confapi, Confindustria, Reteimprese Italia e Ugl (la Uil si era sfilata all'ultimo) per intimare al governo di dare risposte agli scossoni finanziari globali: «Serve», chiedevano, «una grande assunzione di responsabilità da parte di tutti ed una discontinuità capace di realizzare un progetto di crescita del Paese in grado di assicurare la sostenibilità del debito e la creazione di nuova occupazione». Ieri la «discontinuità», oggi la necessità di «trarre rapidamente le conclusioni nell'interesse dell'Italia». La linea dei poteri forti non potrebbe essere più chiara: prima si cambia timoniere è meglio è. Mario Monti - o chi per lui - può già contare su una curva di tifosi bella affollata. di Marco Gorra

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