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Il mercato delle vacche? Se lo fa la sinistra è trattativa politica

La doppia morale. L'opposizione ha lavorato fino all'ultimo per sfiduciare il premier spostando i parlamentari: nessun problema (per loro)

Andrea Tempestini
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Va bene che di doppio standard la politica - tutta la politica - vive ormai da tempo immemore. E che, di conseguenza, stupirsi quando il doppio standard viene applicato un po' da ingenui è. Eppure, ci sono occasioni in cui la contraddizione tra il detto e il fatto semplicemente stride troppo. L'ultimo caso riguarda la cosiddetta «compravendita di parlamentari». Trattasi dell'artificio retorico dietro cui ci si trincera quando un proprio deputato, per qualsiasi ragione, cambia schieramento. Allora, dal partito di uscita si levano grida di «mercanteggiamento», «corruzione», «tradimento» e via disperandosi. Da circa un anno, ogni volta che qualcuno dell'opposizione parla dell'operazione di allargamento della maggioranza andata in porto in occasione del voto di fiducia del 14 dicembre scorso (e in forza della quale il governo si è tenuto in piedi fino ad oggi), usa il mantra di cui sopra. Tutti i partiti di minoranza, per una volta, parlano e strillano con una voce sola. E quella voce dice «vergogna». Nemmeno il tempo di prendere atto che, per l'opposizione, sfilare parlamentari all'altro schieramento è un male che si deve assistere alla reiterazione del reato, oltre che alla sua apologia. Perché, in occasione della fiducia di venerdì, non solo sinistra e centristi hanno attuato - con qualche successo, peraltro - una massiccia opera di pressing sui deputati di maggioranza, ma lo hanno anche rivendicato orgogliosamente. I contatti notturni, le profferte di ricandidatura sicura, le minacce. Persino il rammarico perché qualcuno all'ultimo non se la sente e non salta lo steccato. Solo che, stavolta, curiosamente non si parla di compravendita. Anzi, l'operazione viene spacciata come sussulto di dignità repubblicana, specchiata trattativa politica, empito di responsabilità. Guai a chiamarla compravendita. Mica le fanno certe cose, loro. di Marco Gorra

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