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Umberto, così tradisci te stesso

Paragone: è un controsenso invocare la Padania e restare a Roma. Bossi decida: o federalismo o secessione

Giulio Bucchi
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Troppi parlano a vanvera, dice Bossi riannodando la storia della Lega, il ruolo della moglie Manuela e la vicinanza di alcuni piuttosto che di altri. «La gente ci doveva essere all'inizio a fare la Lega, questa gente non c'era. C'è tanta gente che parla, io conosco la verità di quei tempi, so chi c'era e chi non c'era. Quelli che parlano non c'erano, parlano per farsi vedere». È giusto che il Senatur rivendichi l'epopea degli inizi e omaggi pubblicamente quel gruppo di pochi che con lui condivisero un progetto che a detta di molti sembrava folle. È finanche giusto che Bossi sottragga la moglie e la sua famiglia alle ombre del cerchio magico. Tutto sacrosanto. Umberto Bossi è il tronco della Lega, è il Capo. Ma c'è una risposta che per ora resta sospesa: che cosa ne vuol fare della Lega il Senatur? È possibile che troppi parlino a vanvera, ma questo è il prezzo che si paga quando si cullano sogni e speranze di rivoluzione, quando si allevano ragazzi al grido di libertà, di autonomia e di altre parole d'ordine assai forti. Poi i ragazzi crescono e parlano. Fuori dalla sede di via Bellerio, i leghisti – siano essi simpatizzanti, elettori, militanti o persino piccoli dirigenti – non ne possono più di sentirsi sballottati dal mare grosso. L'alleanza con Berlusconi e la lealtà degli accordi non possono essere il chiodo che tiene tutto e tutti appesi. Se è vero che indossare il fazzoletto verde era rivendicare una diversità, beh adesso quella diversità vuole uscire. Almeno così sperano e chiedono coloro che avevano accettato le regole del gioco padano. Per ora però nulla di tutto questo sta accadendo: l'alleanza col Cavaliere tiene e, fatte salve alcune riflessioni di Maroni (che non a caso resta l'interlocutore privilegiato del Carroccio, perché è il solo a «pensare politicamente»), è difficile capire le mosse future del movimento in questa legislatura. Tutti si aspettano strappi e mosse dirompenti che tuttavia non si consumano. Al contrario, è la pazienza della cosiddetta base a consumarsi. Ho già avuto modo di commentare che la Lega smarrisce un pezzo di se stessa tutte le volte che mette guinzaglio e museruola ai suoi sindaci. È successo di fronte ai tagli sanciti in manovra, sta succedendo di nuovo adesso che il Capo è tornato a sventolare il vessillo della Padania. Non voglio entrare nello specifico della girandola di dichiarazioni (da Napolitano a Tosi passando per Calderoli) perché secondo me di serio non vi è più nulla: la Padania fatta da Roma è un controsenso. Se davvero i vertici del Carroccio credessero alla Padania dovrebbero innanzitutto consentire ai sindaci di parlare liberamente, visto che essi si misurano in rapporto al territorio e alle sue esigenze. Non hanno – loro – strane alchimie romane da tener d'occhio; loro si misurano col solo interesse locale. Anche quando macinano politica dentro il partito come dimostra il fatto che vincono i congressi locali perché controllano il territorio. La Lega ha spostato troppo su Roma il proprio baricentro politico. Non dico che abbia fatto male mi limito a evidenziare che avendolo fatto non è credibile se torna ora a parlare di Padania ed è meno credibile ancora quando minaccia espulsioni (come nel caso del sindaco di Verona Flavio Tosi o del trevigiano Giancarlo Gentilini) in nome di un purismo programmatico. La manovra romana votata anche dalla Lega ha drenato risorse importanti agli enti locali, altro che secessione! La Lega doveva dire no a quei tagli, doveva tenere duro nella difesa dei sindaci. Invece è accaduto il contrario: bavaglio e minacce ai borgomastri e difesa della ragion politica (Milanese, Romano e compagnia cantante). Bossi può avere ragione quando afferma che l'Italia non tiene più, ma non è la Padania la risposta al problema. Se al contrario per il Carroccio lo fosse allora deve immediatamente abbandonare il progetto federale, che invece persegue tenacemente dentro il governo, e contestualmente far cadere il governo strutturandosi per una corsa in solitaria. In altre parole, non si può essere secessionisti e federalisti insieme. Questo zig zag fa solo perdere smalto e consenso. di Gianluigi Paragone

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