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Silvio tenta Casini con la legge elettorale

Berlusconi cerca di evitare il rischio che il referendum vada in porto. Vuole attrarre l'Udc con un proporzionale più puro

Andrea Tempestini
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E invece: quando tutto sembrava finito, i ministri isterici per il tracollo imminente e il premier sulla via del Quirinale per restituire il mandato, ecco che lo scenario cambia di nuovo. Succede nel giro di una settimana. Partita malissimo con la pubblicazione delle telefonate osè del presidente del Consiglio, la rivisitazione di Mogol (“Otto ragazze per me...”), il biasimo delle cancellerie internazionali e delle agenzie di rating. Caporetto. Poi... Poi Silvio Berlusconi, dopo due giorni di black out, è ritornato in pista, ha blindato l'accordo con l'alleato Umberto Bossi e ha incassato, giovedì, il voto contro l'arresto di Milanese che vale quanto una mozione di fiducia.  Nel frattempo le procure che indagano il Cavaliere hanno smesso di macinare carte e la morsa dello sputtanamento si è un attimino allentata. Tanto da permettere a Silvio di elaborare la strategia: «Al gossip dobbiamo rispondere con i fatti. Non ci curiamo di chi vuole gettare fango sul governo al fine di screditare il sottoscritto, andiamo avanti così: i numeri ci sono, adesso dobbiamo portare a casa le riforme che interessano ai cittadini». E, al riparo sotto l'ombrello del Quirinale, si è rimesso al lavoro sul programma di fine legislatura. Che prevede interventi per la crescita e  in sostegno delle famiglie e delle imprese; privatizzazioni e dismissioni di beni e aziende partecipate dal Tesoro e dagli enti locali;  riforma previdenziale (col via libera del Carroccio);  pacchetto giustizia e  legge sulle intercettazioni,  legge elettorale.   Già, la legge elettorale. Berlusconi ne ha parlato anche ieri con Angelino Alfano, ricevuto a Palazzo Grazioli prima di Bruno Vespa e di Sabina Began. Finora Silvio non aveva mai avvertito l'urgenza di cambiare le regole di voto, nel 2008 il porcellum  gli aveva garantito la maggioranza più ampia della storia repubblicana. Poi le cose sono andate come sono andate. E ora Berlusconi è il primo a voler dare una sistemata al meccanismo elettorale: «Bisogna evitare a tutti i costi il referendum», e questa è la prima motivazione. Se, come è assolutamente probabile, il quesito abrogativo otterrà le firme necessarie e il via libera di Cassazione e Corte Costituzionale, la consultazione referendaria rischia di essere un fattore destabilizzante per il governo. Sempre che l'esecutivo arrivi con le sue gambe fino alla primavera del 2012. Allora si cambia. Via i meccanismi che attribuiscono i premi di maggioranza: a che servono se il Pdl teme di perdere le elezioni? Meglio un proporzionale più puro da mettere sul tavolo quando si aprirà la trattativa dell'alleanza con l'Udc di Casini. Ma anche un proporzionale meno vincolante in termini di apparentamenti tra liste, tale da dare la sensazione alla Lega di avere le mani più libere alle prossime consultazioni elettorali. Insomma una roba che accontenti tutti. Pure gli ex An che chiedono candidature scelte con le primarie e niente più listini bloccati. «Troviamo una soluzione che sia condivisibile e approviamola», accelera Berlusconi. Sul fronte dei rapporti interni rimane il gelo tra il premier e il ministro Tremonti. Il titolare dell'Economia è a Washington per l'Fmi, Berlusconi a Grazioli che studia il piano per lo sviluppo senza interpellare via XX settembre. Tra i due un oceano metaforico e reale. È che Silvio è rimasto ferito dall'atteggiamento di Tremonti: «Non è bello cercare di lucrare approfittando delle difficoltà altrui». Non è un comportamento da amico. Se se ne vuole andare, zero rimpianti: ecco la porta. Ma Giulio non se ne vuole andare. di Salvatore Dama

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