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Maroni ricuce col Quirinale

Bossi a Venezia ha rilanciato la secessione, Napolitano lo gela: "Fuori dalla storia". Il ministro fa da paciere (e si smarca)

Giulio Bucchi
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L'incontro è stato un po' il Valium del buonsenso dopo l'ennesimo attacco epilettico secessionista. L'incontro, spiegano al Quirinale, era stato chiesto due giorni fa. Ovvero domenica, il giorno dell'adunata dei leghisti a Venezia, durante la quale Umberto Bossi aveva rispolverato il solito mantra della secessiùn,  tanto cara al suo popolo. È evidente che quell'uscita deve aver creato qualche problema a Roberto Maroni, leghista, ma pur sempre ministro dell'Interno della Repubblica. Per questo il ministro  ha chiesto di incontrare  Giorgio Napolitano. Richiesta che è stata soddisfatta ieri mattina. Come è naturale, durante il colloquio è stato toccato l'argomento Venezia. Il ministro ha cercato di chiarire la frase del Senatùr e, soprattutto, di ridimensionarla. «Eravamo davanti ai nostri...». Anche per salvare un rapporto, quello con Napolitano, che in questi anni è via via cresciuto. Resta il fatto che il presidente della Repubblica, come era naturale, non ha affatto gradito le parole di Bossi. Soprattutto dopo che per un anno ha fatto sponda alla Lega, insistendo sull'importanza di una riforma federalista dello Stato, ferma restando l'unità della nazione. Così nel pomeriggio, all'uscita da una mostra all'archivio di Stato, ha messo un punto sulla vicenda: «Agitare la bandiera della secessione significa porsi fuori della storia, della realtà e dell'indispensabile impegno comune per fare fronte alla situazione». Parole durissime che, però, osservano dal Quirinale, sono meno forti di quelle che avrebbe potuto (o voluto) usare. Pur nel riconoscere l'estrema gravità di quanto detto da Bossi, specie nella situazione di crisi in cui si trova il Paese, non ha gridato, infatti, all'attentato alla Costituzione. Come dando per scontato che l'uscita di Bossi sia stata solo propaganda. Un'apertura di credito che, forse, è il frutto dell'incontro con Maroni. Il quale Maroni, d'altronde, sembra lo scaltro Odisseo. Sta sempre più assumendo il ruolo ufficiale di ricucitore, di drenatore d'intemerate padane, in equilibrio tra ruolo ministeriale e ricettore d'istanze pop . Proprio ieri, in un'intervista alla Prealpina, ha specificato: «C'è un solo maroniano: Roberto Maroni. Tutto il resto sono ricostruzioni fantasiose. Sulle voci di divisioni interne, i giornali e i giornalisti esagerano a priori: non esiste nulla di ciò». Qualcuno - giornali e giornalisti ma, aihmè, anche compagni di partito -  ha letto nella difesa dell'“unico leader”, un modo per gettar acqua sul fuoco e lavorare con calma al futuro del partito. Futuro maroniano, parrebbe. D'altronde tra i padani vige una certa agitazione. La Padania entità geografica, ormai, è come il regno perduto d'Atlantide nei dialoghi di Platone: non si sa se esiste, ma se esistesse servirebbe, appunto la secessione per farla riemergere dagli abissi della politica (come dice il Bossi). E la secessione dovrebbe essere accesa dal referendum popolare sull'indipendenza dei popoli che il quotidiano  La Padania, citando un certo trattato Onu, continua oggi a strombazzare in prima pagina . Secessione di cui nessuno ha ancora ben capito le dinamiche: né i lettori, né Napolitano. Probabilmente neppure Bossi. di Elisa Calessi e Francesco Specchia

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