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Nel nuovo centro-destra c'è posto per Pierferdi

Alfano e Maroni hanno ottimi rapporti con l'ex alleato e potrebbero riportarlo a casa: ci guadagnerebbero tutti

Andrea Tempestini
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L'autunno dei due patriarchi è iniziato: non si sa quanto durerà, ma di sicuro sconquasserà la coalizione di governo. In esso, però, sono già presenti i germi della rinascita dell'alleanza. Nel centrodestra si intravedono linee di forza che puntano a creare dal caos attuale un nuovo ordine, costruito attorno a tre personaggi: Angelino Alfano, Roberto Maroni e Pier Ferdinando Casini. Per la prima volta appare possibile la costruzione di un'alleanza tra loro, capace di contrapporsi con speranze di successo al Nuovo Ulivo di Pier Luigi Bersani, Nichi Vendola e Antonio Di Pietro. È un disegno appena abbozzato, che per realizzarsi intanto dovrà passare attraverso il trauma della successione a Silvio Berlusconi, il quale non è detto che sia d'accordo, e a Umberto Bossi, che di sicuro non lo è. Se poi l'embrione crescerà, presto dovrà dare una risposta alla domanda cruciale: chi dei tre farà il candidato premier? Sia Alfano sia Maroni sia Casini possono vantare credenziali all'altezza. Sarà dura, insomma. Però sono tre persone intelligenti, e siccome l'alternativa più plausibile a questo percorso è l'emarginazione - probabilmente definitiva - di Pdl, Lega e Udc, la speranza è che un'intesa la trovino. Il primo fatto nuovo di questi giorni è la crepa che si è aperta nel muro che sino ad oggi ha tenuto separate Lega e Udc. La lista delle accuse e degli insulti incrociati tra le camicie verdi e i post dc è lunga qualche lustro e si è concretizzata nella pregiudiziale reciproca per cui, dove governano gli uni, gli altri stanno all'opposizione (per dirla con le metafore di Bossi: Casini è «uno stronzo» e allearsi con l'Udc «sarebbe una continuazione della palude romana»). Anche Maroni, un anno fa, all'indomani della cena tra Berlusconi e Casini in casa di Bruno Vespa, disse che «Lega e Udc sono alternative». Ma è chiaro che con la nuova fase, aperta dal cambio di leadership nel Carroccio e nel Pdl, tutto tornerebbe in discussione. E infatti, guarda caso, Maroni e Casini hanno appena ripreso a tessere insieme. Una mossa che fa parte della strategia autonoma del ministro dell'Interno, il quale da un lato professa assoluta fedeltà a Bossi, ma dall'altro lavora per il futuro, da leader designato della Lega. La seconda novità è il rapporto che si è creato tra il ministro dell'Interno e Berlusconi. L'articolo del settimanale mondadoriano Panorama, che ha fatto a pezzettini la moglie di Bossi, Manuela Marrone, e i rivali interni di Maroni, rappresentati dal “cerchio magico” voluto dalla stessa signora Bossi e composto da Rosi Mauro, Federico Bricolo e Marco Reguzzoni, viene letto dai leghisti più sospettosi come il suggello di un'alleanza segreta tra il premier e Maroni. Non sarà così, ma di sicuro c'è un comune interesse tra i due a giocare di sponda in vista della successione a Bossi. È la conferma che Maroni, ala sinistra della Lega, all'amicizia con il Pdl tiene molto. Ed è ricambiato. Il terzo tassello è un gentile omaggio di Bersani e dei suoi alleati: l'allontanamento di Casini dal centrosinistra. I presupposti per un'intesa dell'Udc con il Pd c'erano tutti, ma alla fine Bersani s'è arreso a Idv e Sel. Non passa giorno senza che Di Pietro o Vendola dicano che con l'Udc non ci si deve alleare. L'ultimo schiaffo è stato del leader dell'Idv, che ha definito Casini «la escort della politica». Il Pd non solo non lo difende più, ma annuncia trionfante - tramite Massimo D'Alema, che pure si era speso perché si trovasse un accordo - che «il centrosinistra oggi vincerebbe anche senza l'Udc». Così a Casini non resta che dialogare con la maggioranza, dove i berluscones non hanno mai smesso di lanciargli messaggi d'amore. Difficile anche immaginare un trait d'union migliore di Alfano. Nella sua esperienza al ministero della Giustizia il segretario del Pdl ha lavorato spesso fianco a fianco con il ministro dell'Interno. Gli scambi di stima - e, raccontano al Viminale, anche di simpatia - tra i due sono stati innumerevoli: «Se c'è un siciliano con cui può accordarsi il varesino Maroni, questo è Alfano». Il quale è arrivato alla guida del Pdl proprio per dare vita alla incarnazione italiana del Partito popolare europeo, al quale l'Udc già appartiene. Inutile dire che le radici di Alfano e Casini affondano nello stesso terreno democristiano, anzi “sturziano”: problemi tra loro potranno esserci sulla leadership, non certo sui valori. Una prima intesa tra Pdl, Lega e Udc appare già a portata di mano. Il referendum che prevede il ritorno alla vecchia legge elettorale, il Mattarellum, per il quale a sinistra stanno raccogliendo le firme, è visto come una minaccia da evitare ad ogni costo sia dal Pdl che dalla Lega. Bossi ha tirato fuori l'ipotesi di andare al voto nella primavera del 2012 anche per impedire che il prossimo Parlamento sia scelto con il Mattarellum. Ma la vittoria del referendum sarebbe letale pure per Casini. Così tra i tre partiti sono iniziati i primi abboccamenti sulla possibilità di scrivere insieme, nei prossimi mesi, la nuova legge elettorale. Una mossa che disinnescherebbe la mina referendaria. Non sarà facile: far quadrare esigenze elettorali così diverse è arduo, ma avere un nemico comune può fare miracoli. Ragionamento ancora più valido in prospettiva. Anche perché ognuno dei protagonisti avrebbe qualcosa da incassare dall'alleanza. Maroni, se ce la farà a diventare leader della Lega, potrà dire agli elettori del Carroccio, disgustati dalle vicende giudiziarie di Berlusconi, che l'intesa con il Pdl è motivata dall'arrivo di un leader giovane e immacolato come Alfano. Casini, che ha posto sempre il «passo indietro» di Berlusconi come condizione per tornare a dialogare con il centrodestra, avrebbe buoni motivi di soddisfazione. Quanto al Cavaliere, è vero che arretrerebbe, ma lo farebbe in favore del proprio delfino, il più leale dei suoi, forse l'unico di cui si fida davvero. Alternative migliori dell'alleanza a tre, per tutti costoro, al momento non se ne vedono. E soprattutto non se ne vedono per i loro elettori. di Fausto Carioti

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