Sono Emmanuel Macron e le accuse strumentali della sinistra italiana i bersagli principali di Giorgia Meloni nella sua ampia intervista sul Corriere della Sera. A pochi giorni dai funerali di Papa Francesco in Vaticano con il mini-vertice a San Pietro tra Donald Trump e Volodymyr Zelensky (con il presidente francese che ha tentato di imbucarsi, venendo respinto dal tycoon), le opposizioni hanno sottolineato l'assenza della premier italiana in quella sala.
"Non sarei mai stata lì. Non c'entravamo noi altri leader, non so se qualcuno ha pensato di doverci essere, ma io no - è la risposta sibillina della Meloni, con evidente riferimento al capo dell'Eliseo -. Credo sia stato un momento bellissimo, e a quanto mi è stato detto dai protagonisti potrebbe anche aver rappresentato un punto di svolta. Forse l'ultimo regalo di Papa Francesco a noi tutti". "Penso che (il Papa) meritasse un funerale imponente e senza alcun intoppo, come è stato, e penso che in quel faccia a faccia ci fosse, non so come dirlo...il suo spirito", ha aggiunto.
"Anche di me si dice che spacco in due l'Italia, e non è vero. E a dirlo, guardi un po', sono gli stessi le cui valutazioni trovo francamente superficiali e infantili", prosegue poi il presidente del Consiglio tirando in ballo Elly Schlein: "Quando la leader del Pd dice che 'Trump non può essere un nostro alleato' cosa intende esattamente? Che rompiamo i rapporti di alleanza di 70 anni e usciamo dalla Nato? Perché capisco gli slogan, ma poi bisogna anche essere conseguenti". "Io non penso che le nostre alleanze fondamentali con i Paesi partner cambino in base a chi vince le elezioni. Evidentemente la sinistra sì. E in fondo non mi stupisce: per noi l'interesse nazionale viene prima di ogni cosa, per altri - incalza Meloni - prevale l'appartenenza ideologica".
Quello con Trump alla Casa Bianca "è stato un confronto franco e a tutto campo. Non c'è dubbio che i nostri rapporti personali siano molto buoni, questo sicuramente ha facilitato le cose", spiega ancora Meloni. "Siamo due leader che si rispettano e si capiscono, anche quando non sono completamente d'accordo". "Posso dire che non è stato facilissimo affrontare il tema dei rapporti con l'Europa, e della convenienza reciproca nel tenere i rapporti saldi, perché l'immagine che prevale è quella di un'Unione Europea come blocco consolidato di burocrazie. Ci sarà molto da lavorare su questo".
Quanto a un vertice, magari a maggio, Meloni osserva che "non abbiamo mai dato una data. Ci stiamo lavorando, ma ovviamente non dipende solo da noi. Perché gli incontri portino a risultati serve tempo, bisogna prepararli accuratamente, non devono essere formali, ma sostanziali. Oggi - riconosce - i tempi non sono ancora maturi. Certo, c'è la sospensione dei dazi di 90 giorni, ci sono scadenze, ma a me interessa portare a casa un accordo vero che serva all'Italia in primo luogo, come all'Europa e agli Usa. Senza fretta, ma ben fatto". A Roma o a Bruxelles? "Se Roma può essere la sede giusta perché il nostro Paese viene visto come amico e in qualche modo come sede sì europea ma non 'controparte', credo che sarà un grande riconoscimento. Ma anche se fosse altrove, a Bruxelles o ovunque - annota ancora Meloni - qualche merito, questo sì me lo concedo, penso di poter dire che lo avrò avuto comunque".
Sui temi più propriamente di politica interna, riguardo allo scenario ucraino, Meloni assicura: "Ovviamente sì, siamo d'accordo, lo dimostrano i voti. Poi ciascuno usa accenti diversi, è naturale. Ma non ho mai avuto reali problemi in questo campo. Credo che il governo si stia muovendo in maniera più che soddisfacente, ognuno interpreta al meglio il suo ruolo".