Qual è la linea compagni? È quella dettata dal professor Canfora, ovvio. Giorgia Meloni “neonazista” nell’anima. E così, dove non arrivò Paolo Berizzi col suo “Il ritorno della bestia” giunge Mirella Serri – new entry nella cupoletta che ha la missione di demonizzare la destra meloniana – col suo “Nero indelebile. Le radici oscure della nuova destra italiana” (Longanesi). Berizzi, in modo grossolano, denunciava il ritorno della bestia fascista che era stata nella tana all’ombra della fiamma missina e ora si sentiva libera di ruggire grazie ai successi elettorali di Fdi. Serri ci aggiunge del suo: le radici oscure non sono il fascismo – troppo semplice e scontato – bensì l’ordinovismo di Pino Rauti. Il quale consegnò ai giovani missini, in effetti, le parole d’ordine per uscire dalla trappola degli opposti estremismi sul finire degli anni’70. Ma questo Mirella Serri non lo scrive ovviamente o perché non lo sa o perché è in malafede. Lei si concentra su razzismo e antisemitismo: insomma tutta quella maleodorante vulgata culturale che animò parte del neofascismo ma che con Meloni non ha nulla a che spartire.
Giorgia infatti si ricollega alla tradizione politica del Fronte della Gioventù del decennio che va dall’80 al ’94: un movimento politico che si occupava di ecologia e femminismo, che non leggeva i Protocolli dei Savi di Sion ma “Il Signore degli Anelli”, che aveva come maestri un Teodoro Buontempo che faceva a Roma le battaglie per la casa con i baraccati dell’Idroscalo e un Tony Augello che fondava il Movimento giovani disoccupati. Quando Meloni entra nel Fronte nel 1993 alla sezione Colle Oppio non trova una “maschia gioventù” che insegnava ai militanti come menar le mani ma si confronta col mito di Pasolini e con gli scritti del foglio controcorrente “Morbillo” che vuole a sua volta imitare “La Voce della Fogna” di Marco Tarchi. Ora, va detto che gli studiosi non improvvisati ma abituati a approfondire il tema di cui si occupano queste cose le hanno scritte. Ma certo se uno usa come fonte gli articoli di Fanpage il minimo che può accadere è di andare fuori strada, o di scrivere sciocchezze. Qualche esempio: il motto “non restaurare non rinnegare” attribuito a Almirante mentre era di De Marsanich. Almirante apprezzava Evola?
Non è vero. Anzi evoliani e gentiliani (schierati con Almirante) si sono combattuti ferocemente. Lo jungeriano passaggio al bosco non significa fare azioni eversive ma ha a che fare con un atteggiamento spirituale. Il libro di Bardéche su Sparta non è mai stato di culto tra i missini così come in pochi hanno letto Giorgio Locchi. Semmai di fondamentale importanza sono stati altri testi: “Fascisti immaginari” di Lanna e Rossi, “Scritti corsari” di Pier Paolo Pasolini. Quanto alle donne, citare “Metafisica del sesso” di Evola per giustificare l’idea che le femmine servono per il coito significa non avere capito il testo. Presentare Ezra Pound come cultore del complotto demo-pluto-giudaico-massonico si commenta da sé.
A cosa servono libri come quello di Mirella Serri se non a rinverdire il filone narrativo che vuole la destra meloniana infarcita dei peggiori vizi del neofascismo? Una destra estremista e incline a riforme autoritarie? Ci muoviamo non nell’ambito della ricerca ma in quello, molto più basso, della propaganda. Ma questa lettura del percorso di Meloni e del suo partito è funzionale ad arrestare il processo avviato di trasformazione della destra in un partito conservatore e riformista. Nel ’60 la sinistra bloccò la piena legittimazione democratica del Msi facendo cadere il governo Tambroni e aprendo la strada ai governi di centrosinistra. Oggi si vogliono mettere i bastoni tra le ruote alla Meloni con lo spauracchio del fascismo eterno, rifiutandone ostinatamente la storicizzazione. Non c’è altro modo di fermare la trasformazione della destra in uno schieramento a-fascista (che superi fascismo e antifascismo) se non instillando nell’immaginario culturale il veleno di interpretazioni di parte, agitando presunte “radici oscure”, attaccandosi a un vecchio armamentario retorico riesumato dagli slogan di Lotta continua degli anni ’70.