Ma – di preciso – di che stanno parlando? E soprattutto: di chi stanno parlando? Con rare e preziose eccezioni, politici e media ci offrono il ritratto di un paese che, a ore alterne, sarebbe impegnato a strapparsi i capelli su fascismo e antifascismo (oggi si raggiungerà ovviamente il picco di questo tipo di narrazione) oppure sarebbe letteralmente paralizzato dal lutto perla morte di Papa Francesco. Ora, che molti italiani ritengano la data del 25 aprile assai importante (benché piegata da anni dalla propaganda della sinistra) è assolutamente vero, oltre che giusto. Ed è ancora più vero che moltissimi nostri concittadini, al di là del giudizio sul pontificato di Papa Francesco, siano rimasti colpiti e dispiaciuti per la sua scomparsa. Ma – sia detto con franchezza – il racconto politico e mediatico secondo cui la quasi totalità degli italiani sarebbe ossessivamente concentrata su questi due eventi è semplicemente non vero. Anzi, è largamente vero il contrario. Senza smettere di essere buoni cittadini e buoni cristiani, l’attenzione di un numero elevatissimo di persone – da Pasqua scorsa fino al Primo Maggio e, allungandoci un poco, arrivando almeno fino a domenica 4 – è concentrata su un microponte, una minivacanza, un piccolo break che in tanti hanno cercato o stanno cercando di concedersi, incastrando esigenze di lavoro e disponibilità di denaro.
Immediatamente a ruota – non dispiaccia agli ipocriti – la preoccupazione successiva è quella del meteo (che tempo farà durante la mia vacanza?) e di conseguenza quella su cosa mettere nello zaino e nel trolley, se una maglia più pesante o una più leggera. Per quel poco che vale, essendomi in questi giorni mosso tra Milano e Roma per ragioni di lavoro, gran parte delle persone incontrate aveva un inequivocabile trolley in mano o uno zaino sulle spalle, e molte tra quelle che mi hanno fermato mi hanno parlato esattamente di quello, cioè della loro meta vacanziera. Non della minaccia autoritaria prossima ventura, non della nuova catechista (rigorosamente autonominata) Elly Schlein, non delle strillate del duo Bonelli & Fratoianni. E la stessa morte del Papa è stata vissuta dagli italiani – a me pare – esattamente come in una casa di persone adulte e responsabili si vive la scomparsa di un membro anziano della famiglia: come un evento doloroso ma purtroppo in qualche misura atteso.
Non del tutto prevedibile rispetto al momento esatto dell’evento, ma – per il resto – come un fatto spiacevole al quale si è però psicologicamente preparati. Morale: non voglio trarre conclusioni rozze e affrettate, ma a me pare che ci sia un distacco, una mancanza di collegamento tra l’Italia “ufficiale” che si accapiglia in tv e sui giornali, e, dall’altro lato, un’Italia “reale” che quelle voci nemmeno le ascolta più, e le vive – al massimo – come un rumore di fondo, come una specie di musica di ambiente (non di rado fastidiosa), come un sinedrio di soggetti stravaganti che parlano di cose lontane, in tutti i sensi. La stessa analisi degli ascolti televisivi (non altissimi, anzi!) degli “speciali” sulla morte del Pontefice dovrebbe indurre taluni a qualche riflessione. Figuriamoci se poi si passa a una rissa del tutto scombiccherata e antistorica sul 25 aprile, per giunta con la pretesa dei compagni di raccontarci un “fascismo 2.0” che – secondo loro – imperverserebbe oggi, e che solo pochi allucinati vedono realmente.
Verrebbe da dire che è l’ora di “uscire dalla bolla”. E la sostanza – per chiunque guardi le cose senza pregiudizi e senza lenti ideologiche – è fin troppo chiara: mentre appunto la bolla politico-mediatica, la bubble, è calda-rovente-sovreccitata su alcuni temi, una larghissima maggioranza di italiani sembra stare da un’altra parte, sia con la mente che con il corpo, o comunque – dovunque stia – sta in una condizione psicologica più equilibrata, meno nevrastenica, meno agitata. Forse – mi permetto – occorrerebbe uno sguardo più ampio e più lungo, per non essere presi di sorpresa da ciò che invece si potrebbe già agevolmente scorgere. Basterebbe un poco di attenzione, in fondo. Che senso ha descrivere un paese come sull’orlo del baratro autoritario quando una quota così grande di connazionali non si sta recando in montagna per la resistenza ma – appunto – sta organizzando il ponte di primavera? E allora, la domanda nasce spontanea: gentili intellettuali, illustri commentatori, resistenti con ottant’anni di ritardo, volete – di grazia – dirci di cosa state parlando? L’“emergenza” che descrivete, molto semplicemente, non esiste.