Giorgia Meloni, dopo gli Usa ora guarda a est

La politica del premier: a metà legislatura si vedono risultato. A Bruxelles l'Italia ha assunto una posizione influente nella Commissione europea
di Mario Sechidomenica 20 aprile 2025
Giorgia Meloni, dopo gli Usa ora guarda a est
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Eurorealismo e Nuovo Atlantismo guidano la politica di Giorgia Meloni. A metà legislatura si vedono i risultati. A Bruxelles, l’Italia ha assunto una posizione influente nella Commissione europea - pur non facendo parte della maggioranza - e molte idee di Roma, prima respinte come idee sovraniste, sono state poi adottate di fronte alla realtà che bussa alla porta. Tre esempi concreti: lo scorporo delle spese della Difesa dai vincoli del Patto di stabilità; la riforma restrittiva delle regole sull’immigrazione e la lista dei Paesi sicuri per i rimpatri; il freno alla corsa pazza dell’auto elettrica in uno scenario di crisi profonda dell’industria. A Washington, Meloni è stata la voce dell’Europa nello Studio Ovale, il mediatore alla Casa Bianca, ascoltato e rispettato, quello che serviva per far partire un vero negoziato politico con l’amministrazione Trump. Basta questo per gettare nel ridicolo l’opposizione e la sua linea negazionista, non accettano la realtà di una leadership forte e si rifugiano in un mondo parallelo che non esiste.

C’è molto di più di quello che raccontano i giornali e i talk show che fanno il coro della sinistra: la diplomazia meloniana ha ribaltato lo schema di gioco, l’Italia dopo decenni non gioca più di rimessa, ma assume iniziative di primo piano, in aperta competizione con la Francia e la Germania di cui in passato eravamo sempre il “seguito”. Ci provò anche Berlusconi (e qualche volta ci riuscì, con il vertice di Pratica di Mare), ma il Cavaliere era un geniale battitore libero in uno scenario in cui l’Italia era schiacciata dall’asse franco -tedesco. L’assetto europeo oggi è mutato: la Brexit con l’uscita degli inglesi dall’Unione, la crisi del governo francese e il declino di Macron, il trauma tedesco della fine della “politica del tubo” di Berlino con Mosca, hanno aperto a Meloni un grande spazio di manovra. I tedeschi - la cui economia resta il cuore dell’Europa - sono ancora nel limbo dopo la disastrosa stagione di Olaf Scholz, confidano in una svolta con l’arrivo del cancelliere Merz, ma anche la loro stagione è finita, perché il rubinetto del gas con Mosca per ora è chiuso e l’utopia cinese del partito euro-pechinese si scontra con la realtà della manifattura del Dragone che per la Germania è un incubo.

Vedremo se e quando ci sarà la svolta in Germania, nel frattempo Meloni si muove con uno schema che ricorda quello di Amintore Fanfani nel periodo che va dal 1958 al 1962, anni d’oro, quando l’Italia vinse con la Lira l’Oscar della moneta (assegnato dal Financial Times nel 1960) e si pose come un abile e efficace risolutore di crisi, un mediatore tra Oriente e Occidente. Fanfani fu uno dei protagonisti della soluzione della crisi dei missili di Cuba nel 1962 (con i consigli di Ettore Bernabei e la diplomazia del Vaticano facilitò lo scambio tra la Casa Bianca e il Cremlino: lo smantellamento contemporaneo dei missili sovietici di Cuba e di quelli americani Jupiter a testata nucleare piazzati in Turchia e in Puglia), consolidò i rapporti con gli Stati Uniti mantenendo un’autonomia di movimento (senza alleanze variabili e ambiguità), esercitando il ruolo di ponte dell’Italia con l’Unione sovietica e i Paesi della Cortina di Ferro.

Meloni ha recuperato quello schema e lo ha aggiornato, secondo i canoni della diplomazia contemporanea, con un’alta frequenza di missioni all’estero, una comunicazione istituzionale che parla al mondo e agli italiani (l’audience dei social è globale), un dialogo aperto con i Paesi dell’Africa e del Mediterraneo Orientale (a cominciare dalla Turchia, una potenza di cui nessuno oggi può fare a meno), una scelta atlantista che ha messo il governo dalla parte giusta della storia, nessun piagnisteo nei confronti della politica commerciale di Trump, ma un confronto diretto e collaborativo con la Casa Bianca. Sul piano storico, oggi manca il link con la Russia. Per ora. Va ricordato che nello spazio post-sovietico l’Italia è il partner preferito di Kazakhstan e Azerbaijan, l’Eni è uno dei principali investitori nell’area dell’Asia Centrale. Questo è il chiodo al quale la premier appende il quadro di uno scenario che si va componendo anche a Est, dove un tempo si muovevano agilmente i governi della Prima Repubblica a guida democristiana: venerdì Meloni sarà in Uzbekistan, a Samarcanda; sabato sarà aAstana, la capitale del Kazakhstan, dove domenica si terrà un 'Vertice Italia-Asia Centrale' con Kazakhstan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan. Quando la guerra in Ucraina finirà (tutte le guerre finiscono), l’Italia sarà ben piazzata nello spazio geopolitico che ha sempre coltivato e potrà, come tutti i Paesi, tornare a parlare anche con la Russia. È un altro passaggio importante di una strategia che a Palazzo Chigi coltivano fin dall’inizio e di cui fa parte anche l’Indo-Pacifico, la via che collega il Mediterraneo e l’Oceano indiano, dove è fondamentale il rapporto personale instaurato da Meloni con il leader indiano Narendra Modi. L’India è la potenza che per forza demografica, storia, cultura e conoscenza può insidiare l’ascesa della Cina. Messi insieme i pezzi, si vede con chiarezza il gioco di cui ha parlato Meloni alla Casa Bianca, la scacchiera occidentale.