Guardare l’andamento dei mercati è un esercizio necessario per capire come va il mondo. In pace e in guerra, quando vuoi un’indicazione sulla rotta, non devi perdere di vista il petrolio (la principale fonte di energia); i semiconduttori e le terre rare (il motore dell’industria che si nutre di dati); le quotazioni delle valute, dei titoli di Stato e gli indici delle borse.
Sono disponibili migliaia di altri indicatori aggiornati in tempo reale e, naturalmente, c’è un gigantesco flusso di notizie, le decisioni dei governi e delle banche centrali, i bilanci delle aziende. Quando Giorgia Meloni, alla vigilia dell’incontro con Donald Trump alla Casa Bianca, dice che il «momento è difficile» sintetizza l’incertezza politica, mentre i mercati cercano indicazioni sul futuro.
La missione americana di Meloni si è caricata di aspettative, perché l’Italia oggi esercita un ruolo importante negli equilibri dell’Unione europea, la premier mostra prudenza e realismo, sa che questa America è diversa, imprevedibile e alla ricerca di una via d’uscita dalla trappola dello squilibrio finanziario in cui è precipitata fin dagli anni Settanta. Non bisogna perdere di vista l’obiettivo di Washington: ridurre il rosso della bilancia commerciale e invertire il processo di de-industrializzazione, Trump sta tentando di riprogrammare la macchina dell’economia americana.
Per questo ho scritto e detto tante volte in queste settimane che si tratta di un colossale azzardo, in questo momento è ancora il 47° Presidente a dominare il mercato, ne provoca le cadute e le risalite, ma passare al ruolo opposto, quello di dominato dal mercato, è questione di un attimo, perché il sistema finanziario ha meccanismi vecchi e si trova di fronte a problemi nuovi innescati dalla prima potenza mondiale. Il piano di Trump non è di breve periodo e ha bisogno di alleati.
Quello naturale è l’Europa, per ragioni storiche (il sistema di relazioni internazionali nato dopo il 1945), affinità di sistema politico (l’essere democrazie), interessi strategici (la cooperazione nella difesa) e profondi legami psicologici (il soft power della cultura). L’Italia aggiunge a questi elementi strutturali un’alleanza storica con gli Stati Uniti, una posizione chiave nello spazio del Mediterraneo e del Vicino Oriente, una tradizionale vocazione della nostra politica estera a dialogare con tutti. In passato siamo stati parte della soluzione di grandi problemi (la crisi dei missili di Cuba nel 1962, con il governo Fanfani), oggi Meloni è una voce importante dell’Europa, la sentiremo.