Antonella Viola, il Pd punta sulla virologa: sfida a Crisanti per la candidatura in Veneto

A sinistra come governatrice gira il nome della dottoressa, star televisiva e nemica del vino: lei ci pensa, in lizza anche l’europarlamentare microbiologo
di Pietro Senaldisabato 12 aprile 2025
Antonella Viola, il Pd punta sulla virologa: sfida a Crisanti per la candidatura in Veneto
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La sinistra in Veneto non gode di buona salute. Sarà forse per questo che sta valutando la possibilità di candidare un medico a presidente della Regione, non tanto per guidare l’ente, sfida proibitiva, quanto forse per guarire se stessa. Non un medico qualsiasi però. In ballottaggio ci sarebbero due virostar dei tempi del Covid in crisi d’astinenza da celebrità.

Lei è Antonella Viola, biologa e divulgatrice scientifica, professoressa all’Università di Padova. Ha flirtato con la celebrità, giocando su un riuscito mix di competenza scientifica e fascino civettuolo per poi tornare al glorioso anonimato dei laboratori. Lui è Andrea Crisanti, lo zanzarologo, come iniziò a definirlo il presidente Luca Zaia, quando, dopo averlo lanciato con il metodo Vo’ Euganeo del tampone a tutti, ci litigò perché il medico voleva diventare da consulente a re. Lo ha arruolato il Pd e l’ha piazzato in Parlamento, ma riveste un ruolo da terza fila, tanto che finisce sui giornali più come locatario della sua regale villa sui Colli Euganei che come politico. Entrambi sono spinti alla sfida a perdere dall’ambizione.

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INCERTEZZA
Lei sarebbe incerta. Le piace che corra voce che le sia stata fatta la proposta e che stia tenendo gli spasimanti dem in sospeso. Si dice tentata ma non convinta. Lui sembrerebbe addirittura essersi autocandidato. La corsa gli consentirebbe di tornare in auge almeno nella sua patria elettiva, dove proverebbe anche a ritagliarsi un ruolo da figura guida sul territorio. Entrambi hanno due handicap. Uno comune: non sono Veneti in una Regione fortemente identitaria dove al referendum del 2017 il 98% dei votanti, corrispondenti al 58% della popolazione, si espresse per l’autonomia.

L’altro di immagine. Nella terra del Prosecco, dello spritz e del Vinitaly, dove il brindisi è un grande affare oltre che una piacevole e irrinunciabile tradizione, la dottoressa Viola ha fatto il più violento spot che si ricordi contro l’alcool, sostenendo che non è vero che un bicchiere a pasto fa bene e che, anzi, fa venire il cancro. Il dottor Crisanti invece si è ritagliato il ruolo di anti-Zaia, che non è proprio il massimo per candidarsi a sostituire il Doge a ridosso o poco dopo le Olimpiadi da questi fortemente volute.

Andrea Martella, l’uomo forte dei dem in Veneto, sa bene tutto e prende tempo, finge di non aver ancora messo testa alla pratica, non essendo neppure decisa la data del voto. In ogni caso, non è intenzionato a giocare la partita, visto che per lui è meglio tentare, eventualmente, la conquista del Comune di Venezia, città con tradizione favorevole ai progressisti. Toccherà a lui comunque, con Elly Schlein, decidere. Oggi e domani il Pd ha lanciato l’iniziativa dei 150 gazebo “Per il Veneto di domani”. Lo slogan c’è, la faccia a cui appenderlo non ancora. L’alternativa politica alle virostar sarebbe la dem Vanessa Camani, già deputata e oggi capogruppo in Consiglio. Alla segretaria non dispiace, ma è molto spostata a sinistra rispetto all’elettorato medio della Regione e servirebbe giusto per definire il perimetro dell’alleanza rossa sul territorio, individuare la percentuale dello zoccolo duro. Sempre che non si voglia bruciare il sindaco di Vicenza, Giacomo Possamai, tarpando le ali a una carriera ancora in fase ascendente.

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I PRECEDENTI
Le speranze infatti nella terra del Leone di San Marco sono al lumicino per la sinistra. Le ultime tre tornate, vinte tutte dal leghista Luca Zaia, governatore non più ricandidabile, sono andate di male in peggio per i progressisti. Nel 2010 Giuseppe Bortolussi, già presidente della leggendaria Cgia di Mestre, l’osservatorio degli artigiani, si fermò al 29%. Cinque anni dopo la magnetica Alessandra Moretti, pompata da Matteo Renzi allora ancora in sella a Palazzo Chigi, fece precipitare la sinistra al 22%. Nel 2020 fu un’impresa trovare un agnello sacrificale disposto a sfidare il Doge Zaia. L’anonimo ingegner Arturo Lorenzoni, professore universitario, offrì il petto, racimolò il 15% e nessuno sentì più parlare di lui.

Il prossimo ottobre, probabilmente, o nella primavera del 2026, dopo le Olimpiadi di Cortina e Milano, come ha fatto balenare il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, il presidente leghista non si potrà ricandidare. Forse questo ha solleticato il narcisismo di Viola e Crisanti, anche se cacciare il centrodestra dal Veneto potrebbe essere compito altrettanto arduo che fronteggiare la pandemia. E più avaro di soddisfazioni personali.

Quanto al centrodestra, la Lega rivendica a gran voce la candidatura, forte dei suoi 144 sindaci nella Regione. Si fa filtrare la voce che Giorgia Meloni avrebbe decisio di rinunciare a chiedere a Matteo Salvini il Veneto per puntare, nel 2027, sulla Lombardia. I Fratelli d’Italia locali però non danno per persa la battaglia e ricordano che alle Europee sul territorio il partito ha preso più del doppio di Lega e Forza Italia messe insieme.

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