Cina, la scelta suicida del partito pechinese d'Italia

Giorno dopo giorno si manifesta una rete di interessi, di personalità, di analisti, con tanto di politici a rimorchio, col cuore che batte forte per il Dragone
di Daniele Capezzonesabato 12 aprile 2025
Cina, la scelta suicida del partito pechinese d'Italia
4' di lettura

Ma guarda: giorno dopo giorno si manifesta in modo sempre più prepotente un “partito cinese”, una rete di interessi, di personalità, di analisti, con tanto di politici a rimorchio, che, nel grande scontro tra Occidente e Pechino, hanno il cuore che batte forte per il Dragone. Troppi fanno ancora finta di non capire, e derubricano di volta in volta il tema a mera gara tecnologica o a pura competizione economica: non comprendendo o occultando il fatto che invece si tratti di una sfida esistenziale, di un confronto di fondo per la leadership nel pianeta.

Come si pone l’Europa in tutto ciò? Retrocedendo di qualche anno, fa impressione ricordare l’accoglienza trionfale riservata al tiranno cinese Xi a Davos nel 2017, con l’establishment progressista internazionale in prima fila a spellarsi le mani, a farsi vedere, a farsi intervistare nei giorni successivi, per lasciare a verbale il proprio applauso al leader cinese come alternativa allo sgradito Donald Trump.

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CEDIMENTO CULTURALE
Inutile girarci intorno. Su questa capitolazione ideale ed etica, non solo politica ed economica, hanno inciso due fattori: per un verso, l’operazione acquisitiva (di cose e forse anche di persone) messa in atto da Pechino; per altro verso, un cedimento culturale che viene da lontano. Sta di fatto che, verso la Cina, il mainstream intellettuale è largamente impegnato – con l’alibi dell’ostilità verso Trump – in clamorose operazioni di mistificazione e travisamento della realtà, per respingere ogni obiezione sensata. Capitalismo autoritario? Mercato senza libertà? Ma è un esperimento innovativo, può esserci un mercato efficiente senza le “lentezze” delle nostre democrazie, ci si risponde. Coercizione e privazione della libertà di un miliardo e mezzo di esseri umani? Ma non è facile sfamare una simile massa umana, ci si obietta. Repressione dei dissidenti politici e delle minoranze religiose? Ma bisogna comprendere le specificità e confidare nell’evoluzione storica, abbracciare e non isolare Pechino, ci si ammonisce, percorrendo tutti i gradini dell’ipocrisia e della negazione della realtà.

IL SUPPLEMENTO
A fine 2018, il Corriere e il suo supplemento economico insignirono Xi Jinping del titolo di personaggio dell’anno con questa motivazione celebrativa: «Non c’è nessuno al governo in Occidente che si sia battuto bene come lui per rafforzare il proprio paese senza confondere l’interesse nazionale con il proprio di breve respiro e che abbia al tempo stesso cercato di presentare la propria nazione come portatrice di valori». Non occorrono molti commenti.

La realtà è che tanti in Ue – qualcuno consapevolmente, qualcun altro no: e non saprei dire quale ipotesi sia peggiore – si sono resi disponibili come “cavallo di Troia”, come strumento di una penetrazione cinese nel cuore dell’Occidente. Adesso il rischio è chiaro a tutti. Ma il terreno si preparava da anni. Voglio ricordare un episodio dell’estate del 2014, quando, out of the blue, si materializzò l’accordo tra Cdp Reti (quindi entrarono in gioco le reti energetiche italiane) e il gigante cinese China State Grid, che ne rilevò il 35%. Ammetto che almeno l’Italia mantenne la quota di controllo. Ma restano domande pesanti come macigni.

Perché fu scelto proprio quel partner, anche geopoliticamente così discutibile? E soprattutto perché non se ne discusse adeguatamente? È surreale che in Italia si discuta, nella politica e sui media, su quisquilie, mentre su una vicenda così grave e importante ci fu un silenzio quasi tombale. Anche perché – giova ricordarlo – vendere allo stato cinese è esattamente il contrario di una privatizzazione. Sta di fatto che, a meno di miei errori e omissioni, dei quali eventualmente mi scuso, all’epoca un solo parlamentare in carica interrogò il governo. Il resto è cronaca: dal green deal alle porte che Bruxelles sta già spalancando a Pechino e alla sua penetrazione.

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L’ORGOGLIO
Ecco, dinanzi all’evidente accelerazione di un generalizzato cedimento politico, culturale e probabilmente anche morale, è l’ora di ricompitare alcune elementari verità, e di farlo con orgoglio occidentale, pro mercato, pro libertà. Consapevoli come siamo che il nostro sistema – pur pieno di difetti – basato su capitalismo e democrazia politica sia il miglior metodo di convivenza costruito dall’ingegno umano, e l’unico che cerchi – direi programmaticamente – di coniugare la soddisfazione individuale con la crescita comune.

L’Europa dovrebbe essere parte di questo quadrante, senza furbizie, senza posizionamenti “terzi”, senza oscillazioni che ci renderebbero da un lato (Oriente) servi, e dall’altro (Occidente) inaffidabili. Dobbiamo farlo non solo per ragioni di principio (ci verrò tra un attimo), ma anche per interesse nazionale: perché l’interesse nazionale dei paesi europei si difende solo dentro la cornice occidentale e atlantica.

In questo scenario, occorre ribadire alcuni punti di principio che mandano in crisi di nervi gli antiliberali vecchi e nuovi. Primo: il socialismo, il collettivismo, il comunismo non hanno funzionato e non funzionano. Secondo: oltre a non funzionare, sono basati sulla coercizione di stato. Terzo: questa coercizione di stato non riguarda solo le libertà economiche, ma la libertà in quanto tale. Quarto: è incredibile la capacità comunista di sacrificare sull’altare della propaganda, di un “modello”, la vita concreta di milioni di donne e uomini, sulle cui vite devastate viene cinicamente caricato il costo di non “sciupare” la narrazione ideologica. Quinto: è doloroso che, tranne rare e meritorie eccezioni, servano eccidi o stragi eclatanti, o la tragedia di una pandemia, affinché alcune storie ottengano attenzione: e, come abbiamo appreso nel 2020, può perfino scattare la beffa di un capovolgimento propagandistico, per raccontarci come Pechino “abbia sconfitto il virus” e “ci stia aiutando”. Sesto: ma con quale coraggio si dà luogo ogni anno alle celebrazioni italiane del 25 aprile, senza desiderare un “25 aprile” anche per i cinesi, i nordcoreani, i venezuelani, i cubani, gli oppressi di tutto il mondo? Domande – temo – destinate a rimanere senza risposta. Una ragione di più per porle ad alta voce.

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