Antonio Laudati, l’ex pubblico ministero antimafia coinvolto nell’inchiesta sui dossieraggi contro esponenti politici di centrodestra, dovrebbe essere interrogato dai magistrati romani martedì prossimo. Non è chiaro al momento se sia stato lui a chiedere l'interrogatorio o se, invece, siano stati i suoi ex colleghi a volerlo convocare in Procura. Contattato dall’agenzia Ansa, l’avvocato Andrea Castaldo, difensore di fiducia di Laudati, non ha rilasciato dichiarazioni, non confermando né smentendo la notizia dell’interrogatorio. Il procedimento penale, inizialmente incardinato presso la Procura di Perugia, a seguito di una eccezione di incompetenza territoriale sollevata proprio dalla difesa Laudati, alla fine dello scorso anno era stato trasmesso a Roma, subendo di fatto uno stop. Ora la ripartenza con l’arrivo di Laudati negli uffici della Procura della Capitale.
GLI ACCESSI Laudati, e l’allora tenente della guardia di finanza Pasquale Striano, sono attualmente i principali indagati dell’inchiesta sui dossieraggi ai danni di decine tra politici, quasi tutti di centro destra, personalità delle istituzioni e del mondo economico. Accusati di accesso abusivo a sistema informatico, falso in atto pubblico, rivelazione di segreto, in questi mesi i due si sono sempre avvalsi della facoltà di non rispondere, non chiarendo dunque il motivo per il quale avrebbero effettuato un numero spropositato di interrogazioni alle banche dati della Procura nazionale antimafia. Secondo gli investigatori, Striano, alle dipendenze funzionali di Laudati, in quasi quattro anni avrebbe interrogato i vari schedari informatici circa quarantamila volte, estrapolando dati di cui si sono poi perse le tracce.
Le indagini, ad oggi, hanno soltanto consentito di appurare che qualche centinaio di questi file furono consegnati da Striano ad alcuni giornalisti, fra cui quelli della squadra investigativa del quotidiano Domani, Giovanni Tizian, Nello Trocchia e Stefano Vergine, anche loro accusati di rivelazione del segreto d'ufficio e accesso illegale a sistema informatico.
Il procuratore di Perugia Raffaele Cantone era arrivato a richiedere nei confronti di Laudati e Striano l’arresto. Per Cantone, comunque, prima dello spostamento a Roma, le indagini non erano ancora concluse e non era prevedibile il loro termine in tempi brevi. Misura cautelare che era stata però rigettata dal giudice. Nelle circa duecento pagine della richiesta di arresto, Cantone aveva indicato come fossero state riscontrate «specifiche circostanze ascrivibili ad entrambi gli indagati». Il pericolo di recidiva, requisito essenziale per chiedere la custodia cautelare, secondo Cantone si sarebbe concretizzato «anche e soprattutto alla luce delle articolate relazioni» e «che gli potevano consentire, anche tramite soggetti terzi, la commissione di ulteriori reati della stessa indole».
Anche il Riesame di Perugia aveva ritenuto infondato l’appello del pubblico ministero teso a ottenere i domiciliari per Laudati. L’inchiesta ha poi avuto un “coordinamento” investigativo fra la Procura di Perugia e gli inquirenti del Vaticano. Fra i nomi compulsati da Striano c’era infatti quello del cardinale Angelo Becciu, travolto dall’inchiesta della Santa sede sull’acquisto di un palazzo a Londra con i fondi della Segreteria di Stato. Laudati e Striano, per la cronaca, sono ora in pensione. Della vicenda si sta occupando il Comitato parlamentare perla sicurezza della Repubblica, il Copasir, e, soprattutto, la Commissione parlamentare antimafia presieduta dalla meloniana Chiara Colosimo.
LA DENUNCIA L’anno scorso, esplosolo scandalo, sia Giovanni Melillo, procuratore nazionale antimafia, che lo stesso Cantone, diramarono un comunicato congiunto chiedendo di essere immediatamente ascoltati in tutte le sedi competenti. «Il lavoro della Commissione antimafia, sulla vicenda degli accessi abusivi, è stato sempre improntato alla totale sinergia istituzionale con la Procura di Perugia e con la Procura antimafia, nel pieno rispetto dei ruoli e senza alcuna interferenza nelle indagini che gli inquirenti stanno conducendo, ma senza mai venir meno al dovere d’inchiesta che la legge istitutiva attribuisce alla Commissione antimafia», dissero da Palazzo San Macuto dopo il primo giro di audizioni.