La prossima settimana Giorgia Meloni incontrerà Donald Trump a Washington, mentre J.D. Vance sarà a Roma. La doppietta diplomatica è notevole: faccia a faccia alla Casa Bianca con il Presidente che interpreta America First, sorvolo dell’Atlantico, rientro in patria e incontro con il suo vice a Palazzo Chigi, un talento di 40 anni che incornicia la nuova rivoluzione americana in uno scenario culturale proiettato nel futuro. Trump e Vance, insieme con il presidente cinese Xi Jinping, a Vladimir Putin, all’indiano Narendra Modi e ai leader delle petro-monarchie del Medio Oriente, sono gli uomini più potenti del mondo.
Hanno demografia, energia, tecnologia, armi.
L’Italia è una potenza con un’economia trasformatrice e esportatrice, ieri S&P ha alzato il rating dell’Italia a lungo termine e confermato quelli a breve, un esempio virtuoso di navigazione nella tempesta. A questo valore va aggiunto un eccezionale soft power, una storia fatta di scoperte dell’America e Vie della Seta. Al centro, il Vaticano, Roma cuore del cattolicesimo, dimora del Papato e della Chiesa, istituzione universale la cui funzione non è solo fede e preghiera, ma politica e ambasciate segrete, una diplomazia parallela con duemila annidi storia.
Il contesto politico è di incredibile complessità, Meloni va a Washington mentre infuria una immensa guerra commerciale tra America e Cina, con l’Europa anch’essa colpita e in cerca di una exit strategy. Trump è imprevedibile, ma pragmatico; Meloni è una professionista della politica. Gli interessi convergenti ci sono, i punti di forza dell’Italia sono apprezzati, nel commercio abbiamo una quantità enorme di “prodotti strategici”, beni necessari per la nazione americana e molti - a partire dai farmaci - sono classificati alla voce «sicurezza nazionale». Alla Casa Bianca ne scopriranno anche altri meno noti che in questo scenario potrebbero essere decisivi in molte partite aperte. Quadro di riferimento: Meloni fa parte di un’ondata conservatrice, è protagonista di un ciclo storico, il governo italiano è il più solido e collaudato della destra europea, un esempio di stabilità che manca a tutti gli altri, a Palazzo Chigi non hanno le ambiguità della grossa coalizione tedesca e le debolezze dei governi francesi con maggioranze anemiche. Giorgia governa. Roma ha collaborato molto bene con Washington durante la presidenza di Joe Biden, la visita del 17 aprile conferma la tradizione del nostro rapporto con gli Stati Uniti e il link diretto costruito da Meloni con Trump. Non ci sono ombre e questo è un buon punto di partenza.
Siamo in un’altra epoca, nella villa di Pennsylvania Avenue è tornato Trump, sull’Ucraina si sono riaperti colloqui mentre si combatte ferocemente, Meloni è una star della scena internazionale, un fatto taciuto dal provincialismo e dalla partigianeria ignorante del sistema politico-editoriale. C’è un modo tossico di presentare l’azione del governo e la figura di Meloni, non è un problema di differenti linee culturali (che sono il fondamento del gioco democratico), c’è quasi sempre il tentativo di infangare l’immagine delle persone, di ridicolizzare il leader e i suoi collaboratori, il risultato è una “disinformatia” che va in rotativa e in tv, in radio e online, un bulldozer contro la «maggioranza silenziosa» che viene «silenziata» dalla tipografia unica.
La realtà è un’altra, la diplomazia di Palazzo Chigi è un gioco di rapporti diretti coni leader, lavoro di squadra, immagine dell’Italia che ha ritrovato una leadership e un ruolo della nazione, la missione a Washington è frutto di questa tessitura paziente. La giostra dei mercati finanziari era annunciata, presente nei programmi di Trump in documenti ufficiali, che nessuno legge (perla cronaca, ieri gli indici sono andati in positivo grazie a un rally finale, a dimostrazione che ogni giorno è una storia diversa), lo shock è la conseguenza di una rivoluzione dell’agenda americana, è “Main Street” contro “Wall Street”, alla Casa Bianca e al Tesoro stanno sostituendo hardware e software della macchina del commercio mondiale perché l’alternativa al non far niente è lo schianto di una nazione divorata dal debito pubblico e privato, dalle diseguaglianze e dal conflitto tra grattacielo e ranch. L’agenda è cambiata in maniera radicale, ma è proprio nelle priorità e urgenze dell’amministrazione Trump che si nascondono le migliori occasioni per l’Italia a Washington. Le scopriremo presto, la missione è possibile.