Ma non si era detto - da anni - che, almeno sulle questioni di decisivo interesse nazionale, maggioranza e opposizione dovessero fare fronte comune? Non ci era stato spiegato in tutte le salse che le differenze e anche gli scontri sono fisiologici nella vita ordinaria di un paese, ma che poi - in politica estera, e in particolare nei momenti di grandissima tensione- si deve avere la capacità di unire le forze, o per lo meno di supportare con spirito repubblicano il governo in carica? A parti invertite, è ciò che fece Giorgia Meloni nel periodo in cui fu l’unica formale oppositrice del governo Draghi. Essendosi determinata la crisi russo-ucraina, e pur in presenza di sondaggi che le avrebbero potuto suggerire un comportamento più opportunistico e anche demagogico, la leader di Fratelli d’Italia non ebbe esitazioni a ritagliarsi un ruolo leale - in politica internazionale - verso un esecutivo del quale pure non condivideva granché. E adesso, invece? Tutto il contrario. «È cambiato il contesto», affermavano i vecchi comunisti per giustificare qualsiasi giravolta funzionale agli interessi e ai calcoli di partito. E la sensazione è che la forma mentis dei compagni sia rimasta esattamente la stessa.
GLI INTERESSI IN GIOCO
Ma come? Giorgia Meloni si prepara a una delicata e incerta interlocuzione con Donald Trump. Una missione complicatissima: per il livello di scontro internazionale che si è creato; per la propensione (un po’ spontaneamente stupida, è un po’ “spintaneamente” filocinese) dell’Ue, che sembra preferire la controminaccia e i controdazi a un’interlocuzione costruttiva con Washington; e - inutile sottolinearlo - per la rilevanza degli interessi in gioco, a partire da quell’export che può letteralmente rappresentare vita o morte per centinaia di migliaia di imprese italiane. Ecco: ci si sarebbe aspettati non dico un incoraggiamento e un sostegno alla Meloni. Ma per lo meno- e siamo proprio al minimo sindacale di spirito repubblicano - un atteggiamento collaborativo e non ostile da parte delle opposizioni. E invece no. In un crescendo di sgangheratezza (con espressioni come «il cappello in mano», lo «sconticino», «piccole prebende», «umiliazione per l’Italia»), i capi e i capetti del centrosinistra (da Schlein a Boccia, da Renzi a Fratoianni, passando per Magi: tutti ormai pressoché intercambiabili tra loro) sparacchiano contro la Presidenza del Consiglio usando tre argomenti fragili, direi inconsistenti, e perfino contraddittori tra loro.
Emmanuel Macron minaccia Putin: "Pace o azioni forti"
Il governo ucraino critica la moderazione degli americani nei confronti della Russia, sebbene reputi necessario ricucire...Primo: le mosse di Trump sarebbero colpa della Meloni. E perché mai? Perché lei, sovranista, è amica di lui, che è il più sovranista di tutti. Badate bene: sono le stesse persone e le stesse facce di bronzo che fino a novembre la “pungevano” per i suoi positivi rapporti con l’Amministrazione Biden. Come se non fosse preciso dovere di un premier italiano avere sempre la migliore relazione possibile con il governo americano in carica, allora come adesso, indipendentemente dal colore politico dell’interlocutore. Secondo: guai se la Meloni tratta per conto suo, in modo anche parzialmente separato da Bruxelles. Ah sì? Perché naturalmente, secondo costoro, se Parigi o Berlino fossero stati o fossero mai in condizione di strappare un’intesa anche minimamente più favorevole ai propri paesi, non l’avrebbero fatto o non lo farebbero? Ma dai. Terzo: guai se Meloni non ce la fa o se non ce la facesse. E giù ironie - da giorni- anche sulla fissazione della data dell’eventuale meeting con il presidente Usa. Premessa e aperitivo del vero sogno dei nostri progressisti: una scenata di Trump, una mega-rissa alla Casa Bianca, insomma una crisi spettacolare tra Roma e Washington. Mica si preoccupano per l’Italia: l’essenziale è che la loro arcinemica non sia in condizione di segnare un punto positivo.
DA CHE PULPITO
Ecco: giova ricordare che gli artefici di questo teatrino sono gli stessi personaggi che, per un ventennio, sono stati autentici feticisti del vincolo esterno, dei “compiti a casa” da svolgere, del “ce lo chiede l’Europa”. Sono stati e sono ancora i fautori di una sorta di rieducazione degli italiani da realizzare preferibilmente in lingua tedesca o francese. Quelli della “locomotiva” franco-tedesca a cui attaccare, gregario e subordinato, il vagone italiano. Ma adesso no: Meloni dovrebbe ingaggiare con Trump una lite belluina, oppure mandarlo a quel paese in mondovisione senza nemmeno tentare la via di un dialogo proficuo. Da ultimo, e qui si passa al surreale, vanno segnalati quegli esponenti del governo di Parigi che accusano Meloni di “ballare da sola”. Fantastico. Se è Macron a parlare con Trump, oppure se è Macron a bypassare gli organismi dell’Ue, a organizzare vertici con formati fantasiosi e irrituali, al solo scopo di ritagliarsi- lui e solo lui- un ruolo di interlocutore, allora va bene, anzi benissimo. Applausi e petali di rose. Se invece è Meloni a interagire con Trump, è sabotaggio. Se non parlassimo di cose tragicamente serie, ci sarebbe perfino da sorridere.