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La sinistra per tornare in gioco spera nel disastro

Dazi, i progressisti di tutto il mondo sperano nella catastrofe ma sbagliano i conti
di Daniele Capezzone lunedì 7 aprile 2025

3' di lettura

Lo abbiamo scritto più volte e a chiare lettere: la scommessa politica di Donald Trump appare simile a una complicata equazione a più incognite. Diciamolo chiaramente: si sta giocando l’osso del collo. O comunque: la scorsa settimana (vedremo cosa accadrà oggi alla riapertura dei mercati) non ha avuto esitazioni nell’affrontare giornate tempestose in Borsa. Diranno gli ottimisti che i mercati erano “in bolla” dal 6 novembre scorso, e che dunque, prima o poi, una discesa e un riequilibrio dovessero essere attesi. Vero, anzi verissimo. Ma resta il fatto che nei giorni scorsi la burrasca è stata fortissima dopo l’annuncio sui dazi (e di tutta evidenza a causa di quella sua decisione). Dunque, per realizzare un obiettivo politico, il presidente Usa non ha avuto timore di assumersi un rischio elevatissimo.

E tuttavia fa una certa impressione, al di là e al di qua dell’Atlantico, la spensieratezza irresponsabile con cui le sinistre di mezzo mondo si sono istantaneamente messe a giocare al “tanto peggio, tanto meglio”. Diciamolo: dal 6 novembre, giorno della vittoria elettorale trumpiana in America, i partiti progressisti - paese per paese - erano frastornati e alle corde. Di più: sembravano immobilizzati e perfino afoni. Travolti non solo da una sconfitta (quella può succedere), ma dal collasso dei pilastri su cui avevano fondato la loro costruzione politica e culturale negli ultimi trent’anni. Negli Usa, la dottrina politically correct; più vicino a noi, l’ossessione green mescolata al feticismo del vincolo esterno e del “ci vuole più Europa”. E soprattutto, sia qui che lì, il metodo della fascistizzazione, della mostrificazione del “nemico”, a cui non può e non deve essere concessa alcuna legittimazione. Lì, questo trattamento è stato riservato a Trump; qui, in sequenza, a Berlusconi-Salvini-Meloni.

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Ecco: tutta questa impalcatura (stavo per dire: questo catafalco funebre) è venuta giù con la vittoria di Trump. E tutti hanno percepito come la sconfitta progressista non fosse solo congiunturale ma avesse tratti strutturali e perfino storici.

E però, dopo cinque mesi di catalessi, i progressisti sembrano improvvisamente rivitalizzati dalla settimana nera delle Borse. Li avete visti in tv: i musi lunghi paiono più distesi e quasi speranzosi, ed è perfino comparso qualche sorriso (in qualche caso, a onor del vero, un ghigno più che altro).

TRE ERRORI

Ovviamente sbagliano almeno tre volte. Una prima volta, perché solo chi è politicamente disperato può augurarsi di lucrare su una circostanza dannosa per tutti. Una seconda volta, perché le sinistre propongono la strada più sbagliata di tutte: lo scontro selvaggio con Trump (a base di controdazi) anziché un negoziato costruttivo con lui. E una terza volta - e qui la notte si fa buia per i nostri progressisti perché se anche l’avventura politica di Trump prendesse una piega negativa per lui, non verrebbero certamente cancellate le ragioni e i sentimenti degli elettori di destra e di centrodestra in giro per il mondo. I quali, maggioritari quasi ovunque paese per paese, detestano le ricette politiche progressiste, e ne rigettano i protagonisti.

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ZAVORRE DA ABBANDONARE

Diciamolo ancora meglio: qualunque sia l’andamento della parabola trumpiana, non hanno nessuna intenzione di rivedere al governo i vecchi mandarini dem. Per capirci: non speri la sinistra di tornare in gioco in virtù di errori (veri, presunti, eventuali: lo vedremo) del presidente americano. Per avere qualche chance di essere di nuovo competitiva, la sinistra dovrebbe scrollarsi di dosso ciò che l’ha massimamente zavorrata: la sua presunzione di superiorità morale e culturale, la mania del controllo, l’intolleranza verso gli avversari, e una linea dissennata in materia di sicurezza e immigrazione. In mancanza di questo, non c’è mossa di Trump che tenga. Certo, lui dovrebbe cercare di non fare troppi regali agli avversari, di non rianimare politicamente chi era al tappeto sul ring. Ma questi altri non si illudano: il tempo di una loro nuova e futura fortuna è lontanissimo, e non si vede ancora all’orizzonte.

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A.V.