La verità, sulla manifestazione che ha invaso il centro di Roma come non accadeva da anni (100mila secondo gli organizzatori), la dice, dietro al palco, uno che di manifestazioni ne ha fatte a centinaia, a cominciare da quelle arcobaleno dei primi anni Duemila contro la guerra in Iraq. «È cominciata la partita per l’egemonia del centrosinistra», osserva l’ex verde Paolo Cento. Giuseppe versus Elly. Uno a zero. E fa notare che in questa piazza «non c’è solo il M5S, ma un mondo di sinistra che non ha, al momento, riferimenti politici. E qui li ha trovati, perché il vuoto in politica si riempie».
Ed è così. Nel serpentone che da piazza Vittorio, passando per via Merulana e poi giù per via Cavour, è arrivato fino al palco montato dell’imponente via dei Fori Imperiali, non c’era solo il M5S. Dal punto di vista della rappresentanza dei partiti, c’erano Avs e i vari cespugli di sinistra ormai fuori dal Parlamento, Anpi e tante associazioni. Ma, al di là delle sigle, c’era quella sinistra che, decenni fa, si sarebbe chiamata “sinistra radicale”. A suggellare questo richiamo della foresta, si sono visti volti che in Parlamento avevamo incrociato due decenni fa: Giovanni Russo Spena, Gavino Angius, Alfonso Gianni, Loredana De Petris. E, mescolati a loro, molti giovani. Poi c’era, sì, anche una delegazione del Pd. Una presenza di testimonianza, senza una adesione del Pd e quindi senza la base dem. Un gruppetto di coraggiosi - hanno sfidato le contestazioni che, sia pure isolate, ci sono state - capitanato da Francesco Boccia, il capogruppo del Pd al Senato, che appena arrivato ha cercato Conte per abbracciarlo (con lui, anche Igor Taruffi, Marco Furfaro, Marco Sarracino e Guido Ruotolo).
Non c’era, però, Elly Schlein che, dopo lunga riflessione, ha deciso di non andare ufficialmente perché «era la piazza del M5S», così hanno detto i suoi. O forse perché, se fosse andata, mezzo Pd si sarebbe scatenato. In ogni caso l’obiettivo della delegazione era rassicurare sul fatto che non ci sono tensioni, che, sia pure nelle differenze, si lavora insieme per essere alternativi al centrodestra. Che l’avversario è dall’altra parte, non in questa del campo. E Boccia ha svolto, egregiamente, il compito. Entrando nel corteo, ha spiegato che «alcune cose ci dividono dal M5S ma altre ci uniscono.
Siamo d’accordo sulla critica alla corsa al riarmo dei 27 Stati e alle proposte della Commissione sulla prospettiva della difesa comune. Certo, non siamo d’accordo sul supporto militare all’Ucraina ma tutti pensiamo che sia necessario intensificare gli sforzi diplomatici e politici, che vogliamo faccia l’Ue, per negoziare una pace giusta». In conclusione, «siamo qui oggi perché qui c’è un pezzo di opposizione al governo della destra». Il punto è che, come ha detto Angelo Bonelli, Avs, dal palco, «abbiamo il dovere, lo dico a Giuseppe, di costruire una alternativa alla destra». L’esigenza è chiara, ma le contraddizioni pure. E il fatto è che, ieri, a riunire la diaspora, almeno per un giorno e sotto l’ombrello di un pacifismo senza se e senza ma (che metà Pd non condivide, il che non è un dettaglio), è stato Conte. Il quale ne è ben consapevole. Infatti, sia pur entusiasta per il successo della partecipazione, ieri ha indossato, nei confronti dei potenziali alleati (tante volte strattonati a male parole), i modi morbidi di chi vuole unire, del federatore. Per dirla con qualche malizia, del candidato premier.
Non è un caso che dal palco abbia ringraziato non solo i militanti del M5S, ma soprattutto chi non lo era. «Voglio ricordare», ha detto, «chi è qui in questa piazza senza tessera M5S e chi non condivide le nostre posizioni politiche», embrione di «un popolo che vuole essere ascoltato, che non vuole restare invisibile». E anche alla fine, chiudendo, ha ringraziato «tutte le delegazioni politiche» presente in piazza.
Per il resto, si è visto di tutto e di più. Dagli slogan («Mette Meloni nei vostri cannoni») ai cartelli contro Meloni, Crosetto e Von der Leyen muniti di elmetto. Dai fischi al Pd (quando Barbara Spinelli lo ha citato dal palco) ai cori contro Nicola Fratoianni (a un certo punto, durante il corteo, è partito il coro «Vendi la Tesla, amico vendi la Tesla»), da tutti gli argomenti pacifisti contro il riarmo, l’Occidente, l’Europa «guerrafondaia» e «bugiarda», le aziende belliche, i kit di sopravvivenza alla tiktoker Rita De Crescenzo, quella dell’invasione a Roccaraso, che non ha escluso un suo prossimo impegno in politica. Sul palco si sono alternati Barbara Spinelli, Flavio Lotti, padre Alex Zanotelli, Marco Travaglio, il presidente di Green Peace, i capigruppo del M5S al Parlamento italiano e europeo, associazioni. Il punto politico, però, sotto l’ombrello del no al riarmo, Conte si è preso una piazza che va oltre il M5S. «Oggi», ha detto, concludendo, «si costruisce l’alternativa». E al centro di questa alternativa, almeno oggi, non c’era la leadership del partito più grande. A Elly devono essere fischiate le orecchie.