La strana parabola del "Vaffa"

Slogan liberatorio (se detto a sinistra), volgare insulto (se detto a destra)
di Corrado Oconesabato 29 marzo 2025
La strana parabola del "Vaffa"
3' di lettura

Chi nella propria vita non ha pronunciato, almeno una volta, un sonoro, pieno e liberatorio “vaffa”? La parola è sicuramente di origine volgare, sia perché un tempo faceva parte del linguaggio del volgo mentre le élite marcavano la loro differenza sociale anche per l’uso in pubblico di un linguaggio aulico e forbito, sia perché allude ad un atto sessuale ritenuto impuro o immondo. Oggi però di quell’origine si è persa ogni traccia: il linguaggio si è democratizzato e la parola viene pronunciata con molta frequenza senza che che nessuno pensi minimamente all’etimo.

In verità, anche la sua valenza di insulto è andata gradualmente scemando, tanto che la Cassazione ha riconosciuto con una sentenza del 2007 che essa non è assimilabile all’ingiuria. In quello stesso anno, d’altronde, l’8 settembre, un popolare comico genovese, Beppe Grillo, promosse un V-Day, una giornata di manifestazioni in varie piazze d’Italia con l’intento di raccogliere le firme perla presentazione di una legge di iniziativa popolare volta a impedire l’eleggibilità dei politici che avevano avuto problemi con la giustizia. A costoro, ed anzi a tutta la “casta” dei “vecchi” e corrotti “politici, Grillo e i suoi adepti indirizzavano appunto un metaforico e vibrante “vaffa”.

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Inutile, dire che l’appello fu raccolto da molti. Era l’esordio in politica di un termine già abbondantemente sdoganato a livello sociale. Nonché l’atto fondativo di un partito, il Movimento 5 stelle, che nel giro di qualche anno avrebbe raggiunto la maggioranza dei consensi e governato l’Italia. Oggi quel partito, saldamente ancorato nel fronte progressista, viene coccolato e vezzeggiato da quella stessa sinistra, politica e intellettuale, che si mostra scandalizzata perché un giornalista colto e affermato come Paolo Del Debbio ha rivolto a due giornalisti antigovernativi l’epiteto in risposta alle provocazioni e ingiurie dirette a lui e ai suoi colleghi di rete.

Le parole di Luca Bottura e Massimo Giannini, pronunciate in difesa di Romano Prodi, avevano infatti messo sotto accusa i giornalisti di destra: il primo aveva parlato di “retequattrismo” e il secondo addirittura di “sicari del giornalismo di regime” (quasi come se la più gran parte dei mezzi di comunicazione non facesse riferimento alle forze di opposizione). In sostanza, i giornalisti non mainstream vengono accusati di aver fatto il loro mestiere, documentando un episodio che la più parte degli altri giornali ha cercato di tener ben nascosto al pubblico. Non solo: da sinistra si pretende di dare lezioni di giornalismo a chi certo non è nato oggi al mestiere. Come è stato notato, è fin troppo facile immaginare cosa sarebbe successo se al posto di Prodi ci fosse stato un qualsiasi politico di destra: quei giornalisti sarebbero stati in prima fila a crocifiggere il malcapitato non con il “vaffa” ma con epiteti per loro ben più offensivi come “maschilista”, “sessista” e forse pure “fascista”.

A questo classico doppiopesismo, se ne aggiunge in questo caso un altro: quello linguistico. Detto in poche parole: se lo diciamo noi, il “vaffa” è indice di apertura mentale, emancipazione oppure giusta indignazione; se lo dite voi è perché siete incolti, barbari, villani, rozzi. Basta fare un giro sul web per rendersi conto di come politici di sinistra abbiano pronunciato la fatidica parolaccia in aula (ad esempio Fornaro nel 2024) o in tv contro gli interlocutori (Cacciari contro Bocchino sempre l’anno scorso). Nessuno in quelle occasioni si mostrò minimamente scandalizzato.

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