Ecco "chi ha ucciso la Prima Repubblica": l'operazione di Mani Pulite

Un saggio descrive la morsa politico-giornalistico-giudiziaria che distrusse Dc, Psi e partiti laici a vantaggio dell’ex Pci
di Fabrizio Cicchittovenerdì 28 marzo 2025
Ecco "chi ha ucciso la Prima Repubblica": l'operazione di Mani Pulite
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A i fini della ricostruzione storica di ciò che avvenne realmente negli anni cruciali di Mani pulite nel 1992-94, è molto interessante il libro scritto da Mario Patrono Chi ha ucciso la prima Repubblica (la Bussola edizioni). Il punto di osservazione di Patrono è stato molto importante, vale a dire il Csm proprio negli anni 1990-94.
Il testo ripercorre lo scontro frontale che oppose Francesco Cossiga, allora presidente della Repubblica, al giustizialismo fazioso prevalente in un Csm nel quale era molto forte l’egemonia di Magistratura democratica connessa al Pds attraverso una tendenza interna che allora fu chiamata il “partito dei giudici”.

Il salto di qualità però fu rappresentato da due avvenimenti esterni di grande rilievo: il crollo per implosione del comunismo in Russia e nei Paesi dell’Est e il trattato di Maastricht. Quanto avvenne in Urss fece venir meno in Italia il problema costituito dal più forte Partito comunista dell’Occidente. A proposito invece di Maastricht, le sue conseguenze vengono così descritte da Mario Patrono: «Il trattato di Maastricht poneva al debito pubblico un tetto assai rigido. A quel punto gli imprenditori capirono che i pubblici poteri, tutti in mano ai partiti, erano nell’impossibilità di versare a piene mani denaro in opere pubbliche e che pertanto avevano perso il ruolo di erogatori nell’assegnazione degli appalti».

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Il combinato disposto fra la fine del pericolo comunista e i vincoli del trattato di Maastricht ebbero come conseguenza la scelta da parte dei cosiddetti poteri forti di liquidare o comunque ridimensionare i partiti. Paradossalmente Cuccia, che da Mediobanca in quegli anni svolgeva il ruolo di coscienza politica del capitalismo italiano, si rivolse proprio a Craxi, da lui apprezzato quando fu realizzata la privatizzazione di Mediobanca, invitandolo a prendere la guida di un’operazione neogollista, presidenzialista, antipartitica. Craxi, il quale riteneva che comunque i partiti, pur con i loro difetti, svolgevano una funzione fondamentale per la democrazia, rifiutò quel ruolo. Il commento di Cuccia fu: «Peccato, era la sua ultima occasione». Così, nello spazio di un anno e mezzo, il segretario del Psi dall’essere l’unico candidato alla presidenza del Consiglio divenne il “cinghialone” da sbranare da parte del “circo mediatico-giudiziario” (pool dei pm di Mani pulite e pool dei direttori dei principali giornali) posto in essere dai grandi gruppi finanziari ed editoriali del Paese.

Nella realtà, in seguito al suo rifiuto, il ruolo di Craxi fu invece preso dagli eredi di Berlinguer nel Pds; non tanto da Occhetto, che sognava di “superare” il Pci da sinistra, recuperando parte del messaggio ingraiano, ma da D’Alema e da Veltroni in nome di una lucida e spietata realpolitik anche per sottrarre il Pci-Pds all’attacco giudiziario sul finanziamento irregolare dei partiti di cui il Pci da sempre era magna pars, che fecero del Pds il braccio politico di tutta l’operazione Mani pulite.

Il senso dell’iniziativa fu così spiegato da D’Alema: «Che cosa dovevamo fare? Dovevamo cambiare nome. Volevamo entrare nell’Internazionale socialista dunque non potevamo continuare a chiamarci comunisti. Non avevamo alternative. Eravamo come una grande nazione indiana chiusa fra le montagne con una sola d’uscita, un canyon, e lì c’era Craxi con la sua proposta di unità socialista, in sostanza un progetto annessionistico. Come uscire da quel tunnel? Come trasformare il Pci senza cadere nell’egemonia craxiana? Craxi aveva un indubbio vantaggio sudi noi, era il capo dei socialisti in un Paese occidentale. Quindi rappresentava la sinistra giusta per l’Italia solo poi aveva lo svantaggio di essere Craxi. Mi spiego: i socialisti erano storicamente dalla parte giusta ma si erano trasformati in un gruppo affaristico avvinghiato al potere democristiano. Questo era il nostro dramma. L’unità socialista era una grande idea, ma senza Craxi. Allora avevamo una sola scelta: diventare il Partito socialista in Italia».

In sostanza, il senso dell’operazione era chiarissimo: eliminare Craxi e il Psi attraverso una leva giudiziaria visto che, tramite il vice procuratore D’Ambrosio, il rapporto fra il pool dei pm e l’ala postberlingueriana del Pds era molto stretto. Da qui derivò l’impostazione unilaterale di Mani pulite per cui, a fronte di un finanziamento irregolare che riguardava tutti i partiti senza eccezione alcuna, nel mirino del pool finirono invece Craxi, il Psi, i partiti laici, l’area di centrodestra della Dc e furono salvati il ristretto nucleo del gruppo dirigente del Pds e la sinistra democristiana.

Mario Patrono ricorda che da un certo momento in poi per rendere totalmente distruttiva l’operazione antipartitica il reato di finanziamento irregolare fu tradotto in corruzione. A quel punto, citata da Patrono, interviene la testimonianza di Giovanni Pellegrino, all’epoca autorevole esponente del Pci-Pds che nel 1992 presiedeva la giunta per le immunità del Senato. Nell’intervista apparsa sul Corriere della Sera il 2 giugno 2024 il senatore Pellegrino ricorda che «la torsione giustizialista impressa dalla Procura di Milano aveva iniziato a preoccuparmi perché contestava come reati di corruzione aggravata tutti i finanziamenti irregolari. Avevo il timore che anche il Pci sarebbe stato coinvolto nell’inchiesta. Perciò decisi di parlarne a Massimo D’Alema». Pellegrino racconta che D’Alema concluse l’incontro con queste parole: «Volete capire, mi disse, che quelli di Milano stanno facendo una rivoluzione? E le rivoluzioni si sono sempre fatte con le ghigliottine e i plotoni di esecuzione. E poi Luciano mi ha detto che Mani pulite non se la prenderà con noi». Il giornalista: «Luciano era...». Pellegrino: «Violante, chi altro? Violante era la voce della magistratura nel partito».

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I DUE POOL
A questo punto molte cose sono adesso assai chiare. Mani pulite fu gestita da due pool: quello principale ovviamente era costituito dai pm di Milano; il secondo era composto dai direttori di quattro giornali (Paolo Mieli del Corriere della Sera, Eugenio Scalfari di Repubblica, Ezio Mauro de La Stampa e, cosa molto significativa, Walter Veltroni de l’Unità).

Questo secondo pool ogni sera coordinava le pagine del giorno successivo sulla base delle indicazioni provenienti dal pool principale, cioè quello dei pm. In questo modo fu posta in essere quella che in un libro-intervista il procuratore capo Borrelli chiamò la sentenza anticipata: se a un leader politico o comunque a un parlamentare arrivava un avviso di garanzia che il giorno dopo veniva sparato sulle prime pagine dei principali giornali e in prima serata dai telegiornali, a quel punto la sentenza era già emessa ed egli era un uomo politicamente morto anche se sette anni dopo veniva assolto in terza lettura. Un’operazione del genere, fatta per qualche migliaio di dirigenti politici, comportò anche la distruzione dei rispettivi partiti, della Dc, del Psi, dei partiti laici e il salvataggio del Pds, anzi la sua trasformazione nel braccio politico di tutta l’operazione. Si è trattato di una forma moderna di rivoluzione realizzata non più attraverso i carri armati e i paracadutisti ma gli avvisi di garanzia e le confessioni ottenute tramite gli arresti o la minaccia di essi. Se fosse ancora vivo, Curzio Malaparte dovrebbe riscrivere il suo famoso libro Tecnica del colpo di Stato.