Prodi "come Donzelli": la nota della FNSI sul fallo di mano

di Andrea Morigimercoledì 26 marzo 2025
 Giovanni Donzelli

 Giovanni Donzelli

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Chi nei giorni scorsi, scorrendo la newsletter quotidiana della Federazione Nazionale della Stampa, avesse cercato una sia pur minima vicinanza alla cronista Lavinia Orefici, vittima del “fallo di mano” di Romano Prodi, si sarebbe illuso. Poi, trascorsi 3 giorni, una nota della segretaria generale della Fnsi Alessandra Costante ha equiparato gli insulti di Giovanni Donzelli di FdI contro il giornalista del Fatto quotidiano Giacomo Salvini all’aggressione fisica subita dall’inviata di Quarta Repubblica.

E solo dopo che l’Associazione Lombarda Giornalisti aveva chiesto all’ex presidente del Consiglio ed expresidente della Commissione Ue di scusarsi con la persona offesa. E benché le componenti della Commissione Pari Opportunità, ieri si fossero consultate riuscendo, con fatica, a produrre un comunicato sul caso Prodi. Anzi, all’interno del coordinamento delle Cpo si era discusso a lungo sull’opportunità di manifestare solidarietà alla collega vittima di violenza. Era ricomparsa sullo sfondo perfino la vecchia guarentigia a favore dei “compagni che sbagliano”. Ed era sorto il legittimo sospetto che non si volessero trattare tutti/e con la stessa attenzione, e soltanto per una motivazione politica, ovvero la sudditanza verso il Professore di Bologna.

Due pesi e due misure, insomma. E due schieramenti contrapposti. Da un lato chi condanna i soprusi, da qualunque parte vengano e, dall’altro, l’immobilismo delle panchine rosse. Si dipana così il dibattito all’interno del sindacato dei giornalisti. Chi oserebbe mai mettere in discussione il padre nobile della sinistra italiana?
C’è un video che ne documenta non solo l’arroganza, ma il tono paternalistico. Eppure, sostiene nelle chat qualche vecchia nostalgica dell’Ulivo, si tratta pur sempre di «un anziano che ha perso i freni inibitori e non possiamo non tenerne conto». Trattarlo da rincoglionito è un pessimo servizio per uno che ancora si pavoneggia come intangibile simbolo di uno schieramento politico. Anche perché succede che qualcuna, posta di fronte all’argomento della molestam senectutem, sbotti: «Allora stia a casa con la badante!» Emoticon con applausi e pollice alzato.

Poi era prevalsa la linea di chi ritiene doveroso intervenire per questione di etica professionale. Si erano consultati i comitati di redazione interessati, che già il 22 marzo, data del misfatto, si erano espressi così: «Condanniamo fermamente l’accaduto e la reazione stizzita dell’ex premier, reazione mai giustificabile neanche quando si ricevono domande sgradite. E ancora di più se a porle è una donna. In quel caso, la collega si è limitata a citare una frase del Manifesto di Ventotene, peraltro pronunciata anche da Giorgia Meloni al Senato».

Alla fine, il testo della Cpo viene diffuso, ma sepolto sotto quello della segreteria. Va riportato integralmente a futura memoria: «La commissione Pari opportunità Fnsi fa giungere la propria solidarietà alla giornalista Lavinia Orefici che, nei giorni scorsi, durante un servizio per Quarta Repubblica (Mediaset), ha intervistato, insieme ad altri colleghi, Romano Prodi.

Alla domanda su Ventotene, si è vista scimmiottare da Prodi che è arrivato anche al contatto fisico toccandole una ciocca di capelli». Superate quindi anche le perplessità di chi si era detta «incredula» fino alla visione del filmato. Quella ciocca toccata, tirata, strappata, a seconda delle versioni, proprio come il Ricciolo rapito di Alexander Pope, dopo aver scatenato una contesa, aveva fatto trovare una soluzione condivisa.

«La Commissione pari opportunità annota come i giornalisti diano sempre più fastidio ai politici e ai potenti e come questo fastidio possa degenerare in violenza verbale o fisica quando si tratta di una donna, magari giovane», recita la nota della Cpo Fnsi, che deplora il gesto e conclude: «È davvero un brutto episodio quest’ultimo che ha colpito la Commissione pari opportunità e, crediamo, molti cittadini e cittadine». Nemmeno l’indignazione per la violenza verso una giornalista è stata sufficiente a evitare una censura politica nei confronti delle giornaliste della Cpo.