All’anagrafe fa Federico Fornaro, ma lui vorrebbe essere tanto Norberto Bobbio, o quantomeno Antonio Scurati. L’onorevole, professione antifascista, partito socialdemocratico e diventato comunista anni dopo la caduta del Muro di Berlino, fino a una settimana fa era pressoché sconosciuto al pubblico, malgrado sia già alla terza legislatura. Deve la sua fama nazionale a Giorgia Meloni, che gli ha fatto perdere le staffe quando in Parlamento ha detto che l’Europa prospettata dal Manifesto di Ventotene non è la sua.
«La premier dovrebbe inginocchiarsi davanti a chi lo ha scritto, quella carta è riconosciuta da tutti gli storici come l’inno all’Europa federale non come l’inno alla dittatura del proletariato, come ha tentato in maniera truffaldina di farlo passare lei» ha tuonato Fornaro. In aula gli tremava la voce ed è arrivato quasi alle lacrime, garantiscono i suoi colleghi dem, dai quali è stimato come uomo tutto d’un pezzo, d’altri tempi insomma. Qualche pecca però ce l’ha anche lui perché quattro giorni dopo ha declinato la chiamata del Pd e non ha preso il battello per andare a Ventotene, non si pretendeva per inginocchiarsi davanti alla tomba di Altiero Spinelli, ma almeno per far compagnia allo sparuto Nicola Zingaretti, spedito sull’isola in rappresentanza di tutti, simbolo dell’armiamoci e partite che è il leit-motiv dell’Unione Europea, non solo adesso che si tratta di dare corpo al contestato ReArm di Ursula von der Leyen.
Si annuncia una primavera di passione per il nuovo faro dei compagni. Ieri ha ripreso il premier perché non ha gradito come ha ricordato l’eccidio delle Fosse Ardeatine. «Indicibile massacro e rappresaglia nazista», l’ha definito Giorgia Meloni. «Rilettura storica inaccettabile di quella che fu una strage nazifascista, visto il ruolo attivo dei fascisti nell’eccidio», l’ha corretta Fornaro, che da qualche tempo si sta ritagliando un ruolo inedito. Sono attese ulteriori tonitruanti esternazioni per gli ottant’anni del 25 aprile.
I pochi che nel partito non lo stimano malignano che ambisca alla deroga del tetto dem ai tre mandati parlamentari per meriti guadagnati sul campo da baluardo della democrazia contro il pericolo del ritorno delle camicie nere; un po’ come riesce da tempo a Dario Franceschini, sebbene da ex democristiano quest’ultimo sia solito ottenere il risultato attraverso percorsi d’altro genere. C’è da riconoscergli che la volontà non gli manca. Alla tenera età di sessant’anni, ha preso carta e penna e sfornato in mille giorni tre libri. Il più recente, quello su “Giacomo Matteotti. L’Italia migliore” (Bollati Boringhieri, 2024, nel centenario della morte) è ritenuto una pietra miliare dai colleghi che però ne parlano più di quanto l’abbiano letto. Il testo si concentra sul lato umano del personaggio; forse perché, a insistere troppo su quello politico bisognerebbe ricordare che il politico socialista stava sulle scatole ai compagni ed era un facile bersaglio anche perché isolato.
Prima c’era stato quello sul “Collasso della democrazia. L’ascesa al potere di Mussolini”, anch’esso, puntuale come un orologio svizzero, uscito un secolo esatto dopo la marcia su Roma. Il terzo, del 2021, è dedicato al referendum tra monarchia e repubblica, quello sì più volte oggetto di ricostruzioni truffaldine. Comunque Fornaro ha avuto una vita anche prima di dedicarsi anima e corpo al ruolo che si è dato di coscienza democratica del Parlamento. È riuscito a fare il sindaco del suo paese, Castelletto d’Orba, duemila persone sulle montagne del Basso Piemonte, al terzo tentativo, dopo che il forzista Lorenzo Repetto ha deciso di non presentarsi più. Dieci anni, prima di sbarcare a Roma, nel 2013, con quello che viene ricordato come uno dei più grandi colpi di fortuna della storia parlamentare.
Dopo che aveva perso ogni genere di primarie, il suo mentore, Pierluigi Bersani, lo aveva inserito nel listino bloccato del Pd al tredicesimo posto, molto più fuori che dentro. Solo che Sinistra e Libertà, il partito di Niki Vendola, non arriva al 2%, i dem prendono tutti i seggi della ripartizione proporzionale e Fornaro si ritrova in Senato.
Quando Matteo Renzi si prende il Pd, il partigiano Federico si accoda a Roberto Speranza e nel 2017 emigra in Articolo 1, per poi l’anno dopo essere candidato dal “rottamatore” sotto le insegne di Liberi e Uguali in uno dei collegi sicuri del Piemonte che il partito aveva barattato con il segretario per lui e per Nicola Fratoianni. Ancora più facile nel 2022: il Pd, cui aderisce Articolo 1, lo piazza capolista nel composito collegio di Novara, Vercelli, Asti, Alessandria, Cuneo e Verbano Cusio Ossola.
Insomma, l’antifascismo paga ancora. E non c’è neppure bisogno di andare a Ventotene.