Michele Serra, Gualtieri, Totò e i portoghesi a Roma: la piazzata a spese nostre

Una volta i capitolini che non volevano pagare si spacciavano per portoghesi: altri tempi, rispetto a quelli dell'attuale amministrazione
di Marco Patricellilunedì 24 marzo 2025
Michele Serra, Gualtieri, Totò e i portoghesi a Roma: la piazzata a spese nostre
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Una volta i romani che non volevano pagare si spacciavano per portoghesi. Erano i tempi del re lusitano Giovanni V il Magnifico, nel Settecento. Per andare a Roma senza pagare agli italiani è bastato accodarsi al caravanserraglio delle sinistre, ai tempi della segretaria trinazionale Elly I l’Affabulatrice, anno di grazia e giubilare 2025. Tanto, in mancanza di Pantalone, sempre a pagare, ci ha pensato Roberto Gualtieri il Menestrello. È la politica del futuro, quella de-muskizzata e de-trumpizzata, senza sponsor e senza sovvenzioni di incerta natura: quella che parte dal basso, pluralista e inclusiva anche quando è esclusiva. Talmente dal basso che nessuno se n’era subito accorto, perché la benzina alla macchina a dodici stelle di piazza del Popolo è stata pagata con un inavvertibile prelievo individuale dalla tassazione collettiva. Ma che sarà mai, se c’è da battersi col coltello tra i denti pro Europa, anche se neppure Schlein, che ha il dono della chiarezza, ha saputo spiegare se quel “pro” latino significava “a favore” (complemento di vantaggio) oppure “al posto di” (complemento di sostituzione). Questione di lana caprina oppure dilemma filosofico dell’eterogenesi dei fini?

Nella piazza col gran pavese blu e stelle gialle qualche problemino di riequilibratura e convergenza c’era eccome, e non solo perché tirava decisamente a sinistra sui temi caldi della politica internazionale. Ma questo era l’ultimo dei problemi. Il primo era già stato risolto, aumm aumm, con il prelievo leggiadro e disinvolto dalle casse capitoline, generose ma non disinteressate in questo caso nel sostenere le spese vive per portare a Roma vip Dopcg, ovvero a denominazione d’origine politica controllata e garantita, e compagnia di giro. La tessera e la conoscibilità hanno fatto più miracoli di quanti ne facessero in inventiva i romani che nel Settecento sfoggiavano il passepartout pronunciando la parolina magica “portoghese”. Bazzecole, quisquilie, pinzellacchere a detta del sindaco Gualtieri che, evocando nei fatti Totò, per giorni ha ruminato ed elucubrato una risposta spacciabile come politicamente e amministrativamente corretta che stemperasse la bufera polemica; che, se fosse spirata dall’altro lato e a guida politica opposta, su Roma ci sarebbe stata un’altra marcia sovvenzionata dai partiti con bandiere spiegate al vento per urlare al crepuscolo della democrazia e allo sperpero di danaro pubblico per una manifestazione di partito, per quanto (o pour cause...) senza bandiere di partito ma con chiara matrice.

Nella piazza delle idee in ordine sparso e non collimanti neanche nell’ideologia, nella manifestazione dominata da un manifesto (quello di Ventotene) che pochi avevano letto e ancor di meno ancora oggi hanno capito, l’importante era la spinta a esserci e quella c’è stata, almeno economicamente. Gita al sacco per le terze linee, cena e hotel per le prime, bus e treno per assemblare la folla.

L’Europa stava altrove e altrove stavano i nodi gordiani da sciogliere, perché tra burro e cannoni e tra condizionatori e sanzioni la quadratura del cerchio non è ancora riuscita a nessuno. Nel mistero buffo delle tre posizioni antitetiche del Pd la convergenza è almeno arrivata sul sostegno alle trasferte.

A Totò turco napoletano il «caro Pasquale» assicurava alloggio, vitto lavatura, imbiancatura e stiratura, oltre a cento lire (di allora) al mese e divertimento «tutto spesato». Quando gli chiese di cosa si occupava, Totò rispose che era stato «donnaiuolo» e il suo datore di lavoro ne dedusse che era perché stava in mezzo alle donne: chi meglio di un eunuco poteva preservare le virtù femminili? Meritava abbondantemente alloggio, vitto lavatura, imbiancatura e stiratura, e poi, consolatorio, «nella vita ci sono tante altre soddisfazioni». Solo alla fine della commedia degli equivoci di Eduardo Scarpetta, scoprirà che il turco non era turco, ma una specie di portoghese partenopeo che non aveva quel rassicurante deficit fisico. Eppure in quel posto l’aveva raccomandato un suo amico politico, che aveva garantito per lui. Era un onorevole. Ma è solo un caso.