Rocco Buttiglione, il filosofo di cultura e religione cattolica prestatosi per un po’ alla politica negli anni della transizione fra la prima e la seconda Repubblica, senza mai barattare o nascondere le sue convinzioni per mantenere un posto, non ha perso il gusto di andare controcorrente. Come fece parlando dell’omosessualità agli esaminatori del Parlamento di Strasburgo e rimediando la bocciatura come commissario designato da uno dei governi Berlusconi.
Intervistato da Avvenire per parlare, fra l’altro, del rischio dell’irrilevanza che l’Europa corre nella tenaglia di una difficilissima congiuntura internazionale, Buttiglione ha forse sorpreso anche alcuni dei vescovi italiani editori del giornale affidandosi alla premier Giorgia Meloni. «Chi può battere un colpo?», gli ha chiesto Arturo Celletti a proposito della «scossa» necessaria perché l’Europa non sia «tagliata fuori» da un gioco a tre fra America, Russia e Cina per ridisegnare confini e influenze dopo gli accordi conclusivi della seconda guerra mondiale, raggiunti a Yalta nel 1945, ottant’ani fa. E lui, pronto: «La voglio sorprendere: dico Giorgia Meloni. Oggi è il leader più forte che c’è in Europa». Leader al maschile come notoriamente preferisce la Meloni intestando le lettere e firmandosi come presidente del Consiglio. «Macron in Francia - ha spiegato Buttiglione- è debolissimo: resiste solo perché i suoi avversari sono divisi. Sanchez in Spagna ha una popolarità in caduta libera. La Germania non ha un governo. E Merz per ora è solo una bella speranza... Meloni ha un’occasione unica, irripetibile».
«Ma purtroppo oscilla, purtroppo esita», ha tuttavia aggiunto Buttiglione. Che però non l’ha insultata come Romano Prodi, che la vede e indica ogni volta che ne parla come una versione femminile e irrimediabile dell’Arlecchino servo dei due padroni. Al contrario, memore del voto favorevole fatto dare suoi fratelli d’Italia al Parlamento di Strasburgo al piano di riarmo europeo, Buttiglione ha incitato positivamente la Meloni a «dire con forza e con nettezza che perla difesa europea serve un debito comune. Ridia all’Italia - ha aggiunto- un ruolo da protagonista. Lavori a un grande trattato per mandare al macero tutte le armi nucleari». E non solo quelle detenute in Europa, al di qua e al di là della Manica, dalla Francia e dalla Gran Bretagna.
Non credo che di fronte a questa scommessa o incitazione alla Meloni l’antimeloniano a prescindere Romano Prodi possa improvvisare contro Buttiglione una replica della sceneggiata dell’altro ieri contro una giornalista che gli aveva fatto una domanda scomoda. A proposito di questa sceneggiata, accesa dalle polemiche sul manifesto europeo di Ventotene scritto nel 1941 dai confinati antifascisti disposti a barattare l’unità continentale con la sospensione della democrazia e una limitazione indefinita della proprietà privata, sentite che cosa Buttiglione ha risposto ad una analoga, o quasi, domanda dell’intervistatore di Avvenire: «L’Europa non nasce da Ventotene e da Spinelli. Nasce da Schuman, da De Gasperi, da Adenauer. La sinistra guardava con diffidenza l’Europa. I cattolici costruirono le basi di un grande Progetto che oggi rischia di morire». Non ha avuto quindi torto la premier italiana a non riconoscersi - peraltro in Parlamento, non in un comiziaccio elettorale - nelle parole certamente datate ma sicure di Spinelli, Rossi e Colorni.
Per fortuna Buttiglione è un uomo e non ha ciocche di capelli sulle spalle che Prodi possa toccare in un eccesso di reazione mimica che ha avvertito, lamentandosene, la giornalista di Rete 4 incorsa l’altro ieri nel cattivo umore dell’ex premier, ex presidente della Commissione europea, ex professore e via spulciando la sua biografia. Peraltro Prodi avrebbe anche qualche problema fisico a raggiungere le spalle del suo ormai lontano ex collega di partito o di area. Gli si dovrebbe arrampicare addosso.